La strada
Il
mondo devastato non lascia spazio alla speranza. In uno scenario di
apocalittica distruzione un padre e un figlio camminano. Solitudine e
precarietà sono le cifre di esistenze che brancolano in uno smarrimento senza
fine: la terra avvolta nel suo lugubre
velo continuava ad arrancare intorno al sole, ignota e smarrita come qualsiasi
altro pianeta sconosciuto nella remota oscurità circostante.
Sopravvivere
in un mondo assurdo, uscendo incolumi dalla violenza che lo uccide, è
l’obiettivo dei due protagonisti. Non si sa quale guerra abbia ridotto in
frantumi ogni vincolo sociale, trasformando
gli uomini in predoni; l’autore non spiega quale catena di cause abbia
determinato una simile oscurità, una tale assenza di orizzonti. Mc Carthy
attribuisce, però, al bambino una forte lucidità di analisi: guardò il cielo. Un unico fiocco grigio che
planava leggero. Lo prese in mano e lo guardò disfarsi come se fosse l’unica
ostia della cristianità.
“Terra
desolata”, termine di eliottiana memoria, viene usato dallo scrittore per
sottolineare il colore livido di una dimensione spettrale, in cui si aggirano uomini senza fede, nomadi in una realtà febbricitante, fatta di tenebre e nulla e in cui l’attesa si dissolve in un angosciante mai, con la certezza che mai è l’assenza di qualsiasi tempo.
Eppure
un simile scenario non lascia il posto a uno scontato nichilismo. Nel padre si
fa strada un sentimento sempre più forte, non un semplice istinto protettivo,
neanche solo un forte vincolo d’amore. Protezione e amore non sempre bastano a
rendere uomini i figli. Guardò il bambino addormentato. Ce la farai?
Quando sarà il momento? Ce la farai? … Lui teneva il bambino stretto a sé … ma
ammesso che fosse un buon padre sapeva che … il bambino era l’unica cosa che lo
separava dalla morte.
Tra
il buio del presente e l’ignoto dopo la morte c’è uno spazio che si chiama vita
e il bambino la rappresenta. Non è sufficiente proteggerlo dal presente e
l’amore, certo, non gli farà da scudo eterno contro la durezza dell’esistenza.
In nome del figlio, allora, il padre aggiunge un nuovo cardine alla sua strada
verso il futuro: la responsabilità, un lavoro tenace e costante orientato a
rendere il figlio capace di camminare da solo, in modo autonomo, ma forte
dell’esperienza di chi gli è stato sempre al fianco, è inciampato e si è
rialzato insieme a lui.
La
strada, quindi, al di là delle apparenze non è un romanzo nichilista e non è
neppure un libro che celebra la chiusura nella torre d’avorio degli affetti, in
risposta alla totale assenza di senso della storia.
Il
legame tra padre e figlio è la metafora di un nuovo orizzonte di significato
che nonostante tutto è possibile dare all’esistenza umana.
Abbracciò
il bambino ... Poi si rimisero in marcia e tenendosi per mano raggiunsero ...
il punto più alto della strada... Freddo e silenzio. ... Un freddo assassino. L'uomo teneva stretto a
sé il bambino tremante e contava ogni suo fragile respiro nell'oscurità...
Terra desolata... Continuava ad andare avanti...
Dobbiamo
continuare a cercare ... Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o
di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei
arreso. Capisci? E tu non ti puoi arrendere.
Io
non te lo permetterò...
...
Si sedette piegato in due con le braccia incrociate sul petto e tossì tutto
quel che poteva tossire...
Si
accamparono lì e quando l'uomo si stese a terra capì che non si sarebbe più
rialzato e che quello era il posto dove sarebbe morto....
Devi
andare avanti, disse. Io non ce la faccio a venire con te. Ma tu devi
continuare... Fa' tutto come facevamo insieme.
Voglio restare con
te.
Non
puoi. Devi portare il fuoco.
E
dove sta? Io non lo so dove sta.
Sì
che lo sai. E' dentro di te. Da sempre. Io lo vedo. Hai tutto il mio cuore. Da
sempre. Tu sei il migliore fra i buoni.
Massimo Recalcati
nel suo saggio Il complesso di Telemaco,
considera La strada un testo dal
forte valore pedagogico. La storia dimostra che è tramontata l’era di Edipo,
quella che tradizionalmente faceva dei padri l’autorità indiscussa e vedeva nella
sudditanza dei figli la motivazione principale alla contestazione, venuta, in
effetti, con le rivoluzioni del ’68. Si è conclusa, poi, anche l’epoca dei
Narcisi, i genitori postsessantottini, in carriera, travolti dal successo, amici
dei loro figli, assenti, ma nello stesso tempo concentrati a proiettare su
questi ultimi la loro personale ansia di eccellere, destinati, così, a
sopraffare le loro creature, opprimendole, generando in loro frustrazioni,
senso di inadeguatezza e, pertanto, ottenendo, il più delle volte, risultati
contrari a quelli sperati. Ebbene, falliti questi due contrapposti modelli
educativi, Recalcati individua proprio nel padre delineato da Mc Carthy la
nuova proposta. Un genitore non è colui che schiaccia con la sua perfezione,
non è neppure l’amico che confonde i ruoli e, quindi, non dà sicurezza. Un
genitore non ha certezze né risposte sicure. Lascia che il figlio le trovi da
sé, nel fondo del suo cuore. Lo incoraggia, lo aiuta a conoscersi. Commette
errori, inciampa. Alle domande del figlio, il padre di Mc Carthy risponde quasi
sempre non lo so, eppure lo porta in
salvo, lo tiene stretto a sé e lo lascia andare, quando arriva il momento in
cui il figlio dovrà procedere da solo, perché lo ha deciso la natura, perché a
un certo punto si smette di essere figli e si diventa uomini. Il padre
descritto da Mc Carthy non nasconde la paura, ma mostra lo sforzo di superarla.
Insegna al figlio che non bisogna arrendersi, anche quando il corpo cede e
l’animo è stanco. Nonostante il dolore, la malattia, la disperazione, sprona il
figlio a cercare la fiamma viva della sua essenza, quella fiamma che illumina
la strada.
Compito di un
genitore è consentire ad ogni figlio di scoprire quale sarà la sua fiamma, dove
porterà la sua strada.