È vero, "la scrittura non si insegna" e, come Vanni Santoni conferma, le scuole di scrittura non possono fare miracoli: "nessuna scuola impedirà a chi è destinato a essere uno scrittore di diventarlo, e allo stesso modo non farà di un non scrittore uno scrittore". E scegliendo di iniziare il suo libro con una citazione di Cort
Vanni Santoni, però, dichiara: "di scrittura ne ho insegnata".
Dunque oscillando tra l'idea romantica del genio creativo e quella di un percorso perfettibile grazie all'esercizio, il pamphlet di Santoni fornisce alcune chiare indicazioni per principianti ed esordienti: bisogna leggere, scrivere ogni giorno, evitare i luoghi comuni, non dire cose noiose, "confrontarsi con i migliori" e inviare testi a riviste letterarie per entrare in contatto con un vasto mondo di critici, esperti, scrittori famosi, altri meno noti, ma pure abili e talentuosi.
Però, forse, manca un ingrediente a questa significativa lista di consigli, e va apprezzata la sensibilità di Santoni che non ne fa menzione per non scoraggiare troppo i suoi lettori/allievi. Ma qui se ne può parlare.
Per essere scrittori bisogna avere qualcosa da dire. Altrimenti, come diceva Elsa Morante, si resta solo scriventi. Lo scrittore, spiega Elsa Morante, è "un uomo a cui sta cuore tutto quanto accade" e in quanto artista ha un compito preciso: "impedire la disintegrazione della coscienza umana, nel suo quotidiano, e logorante, e alienante uso con il mondo"; "restituirle di continuo, nella confusione irreale, e frammentaria, e usata, dei rapporti esterni, l'integrità del reale, o, in una parola, la realtà". E precisa ancora: "in quanto scrittore non può venir meno a queste condizioni necessarie: l'attenzione, l'onestà e il disinteresse". Infine nota: "c'è una quantità di persone che scrivono, e stampano libri, e si potranno distinguerli chiamandoli genericamente scriventi", perché non possiedono quella dote straordinaria, che è sempre rivoluzionaria, dice Elsa Morante, e che si chiama arte.
Dunque se ci si rende conto che questo è un traguardo troppo alto, nessuna scuola di scrittura potrà venire in soccorso, perché "impedire la disintegrazione della coscienza umana" è una qualità che possiedono davvero in pochi e che non è trasmissibile attraverso lezioni di scrittura.
"Attenzione" e "onestà": sembrano parole scontate, queste della Morante. Eppure anche Carver - autore citato da Santoni tra i vari riferimenti esemplari indicati nel suo testo - ne conferma il valore. A proposito dell'onestà, Carver osserva, nel suo saggio Il mestiere di scrivere: "se le parole e i sentimenti sono disonesti, se l'autore bara e scrive di cose che non gli stanno a cuore o di cui non è convinto, allora non può aspettarsi che qualcun altro mostri interesse per il racconto". Per quanto riguarda l'attenzione, poi, Carver chiarisce: "il compito dello scrittore è di investire quel qualcosa appena intravisto con tutto ciò che è in suo potere". È una questione di sguardo, insomma: citando Tolstoj, Carver nota che, sì, il talento è "il dono di vedere quello che gli altri non hanno visto". Poi, però, rimaneggiando la citazione dello scrittore russo, specifica: "il talento è il dono di vedere quello che tutti hanno visto, ma vederlo in modo più chiaro, da ogni lato".
Infine c'è il "disinteresse": si scrive perché non se ne può fare a meno. Non c'è altra ragione.
Quando Santoni dichiara che "la scrittura - se l'obiettivo è arrivare a produrre qualcosa di decoroso - chiede molto tempo", dice una cosa giusta (che la scrittura richiede tempo), lasciando, però, trasparire un limite di fondo che inficia il panorama letterario contemporaneo: l'evidente prossimità della scrittura con il mercato, la sua dipendenza dall'industria editoriale: il libro è un prodotto. Il libro deve vendere.
Ecco perché ci sono tanti scriventi e pochi scrittori.
Comunque, sì, Santoni ha ragione: "la scrittura non si insegna".
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.