Perdersi (ed. L’orma, 2023) di A. Ernaux è l’ampliamento - come l’autrice stessa dichiara nel testo - di un precedente romanzo del Premio Nobel francese, Passione semplice. In effetti la trama è la stessa: una donna si consuma d’amore per un rozzo diplomatico russo che le dedica solo ritagli di tempo. Tuttavia c’è, tra il primo e il secondo libro, un’evoluzione che la scrittrice nelle pagine iniziali mette in evidenza: Passione semplice – nota A. Ernaux - è il racconto di “una passione che mi aveva attraversato e che continuava a vivere in me”; in Perdersi, invece, è presente una “verità diversa”, “qualcosa di crudo e oscuro, senza salvezza, qualcosa dell’oblazione”, che l’autrice affida non a un semplice racconto, ma a un dettagliato diario scritto in prima persona in cui voce narrante e prospettiva dell'autrice coincidono perfettamente, secondo una formula più propriamente autobiografica che contraddistingue lo stile di A. Ernaux.
L’ambientazione storica è quella dello sfaldamento politico dell’URSS: “
il muro di Berlino era caduto da pochi giorni”. Tuttavia, ammette la scrittrice
parlando del suo libro, “il mondo esterno è pressoché assente da queste pagine”:
lo sguardo dell’io narrante è tutto rivolto all’esame radiografico della
dimensione interiore. Perdersi è un’autoanalisi estrema, una radicale
anatomia della propria ossessione erotica che J. Bazzi nella sua recensione su Domani
definisce crudamente come un’offerta di sé “impresentabile, oscena e
persino ridicola”.
Il titolo del romanzo ha un
valore duplice. Allude certamente al fatto che la storia tra i due amanti dura
circa due anni per poi restare solo nella memoria della protagonista che nel
suo diario dimostra come sia facile e nello stesso tempo doloroso, perdersi,
allontanarsi, dopo aver condiviso molte emozioni, e lasciare che un legame,
pur così intensamente vissuto, evapori. Se però si guarda al modo disperato in
cui l'io narrante vive le interminabili attese, spesso deluse, degli arrivi
o anche solo delle telefonate del suo uomo, perdersi assume un altro significato.
Se si osservano, infatti, con attenzione la totale dipendenza psicologica, “l’assoggettamento”
– come lo chiama Ernaux - la completa sottomissione fisica, fino all’autoannullamento, della protagonista,
si comprende che perdersi è il
verbo che meglio esprime il naufragio identitario ed esistenziale della voce narrante femminile completamente spossessata di sé.
La protagonista di Perdersi
sa fin dall’inizio che “tutto, un giorno, deve finire”; il suo uomo è sposato,
non ha nessuna intenzione di lasciare la moglie e non ha fatto nessun tipo di
promessa: gli incontri sono fugaci, irregolari e occasionali. E questa certezza
genera nella donna un “terrore senza nome” simile a quello che - spiega l’autrice
nel romanzo - pervade il neonato quando è lontano dalla madre, ma che il
bambino gradualmente supera nel momento in cui “diventa capace di conservare in
sé l’immagine della mamma anche mentre lei è assente”. E invece nella
protagonista questo terrore non l’abbandona mai, al punto che la vita senza il
suo uomo perde ogni senso: “vivo in un dolore anestetizzato”.
Per ritornare, dunque, al
giudizio sicuramente sferzante, ma anche per certi versi condivisibile, di J. Bazzi, è lecito chiedersi come sia possibile che una scrittrice, femminista, abituata alle letture
di S. de Beauvoire, più volte citata in Perdersi, abbia potuto cedere a
una forma di sudditanza erotica simile, a un’alienazione senza controllo.
Ernaux sa descrivere con
precisione diagnostica come tutto ciò che di bello c’è nell’amore possa
trasformarsi in dolore: la speranza diventa frustrazione, l’eros sfuma in senso
di dominio da parte di un uomo volgare e autocentrato, l’attesa è ansia sfibrante
o rassegnata procrastinazione.
Quello che di poco comprensibile, di irrazionale, c’è
in questa relazione tra una donna sensibile, profonda,
colta e un uomo egoista, “vanesio, sicuro di sé” spesso ubriaco, in cerca di
piacere senza troppo coinvolgimento affettivo, nelle parole di Ernaux diventa sostanza
vitale.
È difficile giudicare Perdersi, ma del resto anche questo fanno i lettori quando scelgono di arrivare
fino in fondo alle pagine di un libro: le valutano. Certo non sbaglia J. Bazzi nel definirlo
il racconto di un’ossessione erotica, ma ha ragione anche Luperini quando scrive
che Ernaux sa “rappresentare – limpidamente, con durezza, con fermezza – la
contraddizione che vive, senza orpelli”.
Perdersi è un romanzo che dà voce a un’indicibile verità: sul labirintico animo femminile nessuna ideologia può lasciare impronte.
Quella di Perdersi è una storia umana, scomoda,
ma umana.
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