Dicono che somigli all’Ulisse di Joyce.
Invece Rayuela ha pathos. Leopold Bloom si perde nei meandri e nei labirinti
della sua psiche, vaga nella sua Dublino, così come erra nel cerebralismo dei
suoi pensieri. Horacio Oliveira, invece, ama, soffre, si interroga, dialoga, e
parla al lettore. Joyce fa conto che non esista un lettore e costruisce un
personaggio che vive solo del dettato automatico della sua psiche.
Cortázar
plasma Oliveira dandogli un’anima pulsante. Noi lo capiamo quando dice: finisco sempre coll’alludere al centro senza
la minima garanzia di sapere quel che dico, cedo al facile tranello della
geometria con cui si pretende di far ordine nella nostra vita.
Cortázar comunica al lettore lo smarrimento
umano del suo personaggio e il lettore sente l’incertezza di Oliveira, la vive
con lui e la riconosce come sua.
Cercare un centro, avvertire l’insufficienza
del Logos (pensiero e parola) nella storia è ciò che inchioda Oliveira al suo
male di vivere: quel che non mi va giù è
la mania delle spiegazioni, il Logos inteso esclusivamente come verbo.
Intellettuale e amante, in entrambi i casi è imperfetto e incompiuto.
Cercare un centro, aspirare alla conquista di
un’identità, tendere all’assoluto, forse, significa perdersi e smarrire per
sempre anche il senso della bellezza. Quando la sua donna, detta la Maga, gli
chiede che cos’è l’assoluto? Horacio
le risponde che è il momento in cui
qualcosa raggiunge il massimo della sua profondità, il massimo della sua
portata, il massimo del suo significato, e smette completamente di essere
interessante.
Oliveira avverte il peso di vivere in un
mondo in cui si è sempre meno uomini, legati alle etichette di una società che
definisce e che, definendo, svilisce. La società riduce la libertà a un gioco estetico o morale, la vita a una scacchiera in cui sei alfiere o cavallo.
Questa è la libertà che si insegna nelle scuole, esattamente nelle scuole dove mai si è insegnato e mai s’insegnerà ai
bambini il primo tempo di un ragtime e la prima frase di un blues… Emerge
il rimpianto per la "vita", che non si situa mai nelle geometrie razionali; è
forte il desiderio di terra, di cose vive. E le cose vive si
vivono, non si indagano, non si esaminano. Non bisogna togliere loro il mistero
che le anima. Anche nell’amore è così: c’è un gioco di nomi, in Rayuela, che lo chiarisce. La donna di
Oliveira si chiama Lucia, ma vuole essere chiamata la Maga. Lucia evoca la
luce: far troppa luce sulla realtà significa toglierle il mistero. L’uomo, con
il suo Logos, di questo è colpevole: ha tolto l’incanto e la magia alle cose.
Questo scontro di prospettive si chiarisce in un dialogo tra Horacio e la Maga
che riflettono sui loro incontri senza appuntamento tra i labirinti delle
strade di Parigi. Horacio si abbandona
all’analisi delle probabilità, la Maga alla bellezza del fato. E alla domanda
di Oliveira: e se non ti avessi
incontrato? prontamente la Maga risponde con un non so, comunque sei qui. Quello che conta è l’attimo di bellezza
che rivela il volto dozzinale degli strumenti logici, degli interrogativi, dei perché e dei se.
Rayuela ha un
sottotitolo emblematico: Il gioco del
mondo. Non si può incasellare l’esistenza in uno schema precostituito fatto
di convenzioni o di formule dal potere definitorio. Bisogna saper preservare la
sua natura di “gioco”, di avventura, la sua irriducibilità a gabbie e regole
che finirebbero solo con l’incapsularla in un grigio susseguirsi di giorni. Forse
un centro non c’è. È perdente, quindi, la fatica di ridurre la vita e la realtà
in termini di metodo. Perciò è nostro
il grido di Horacio che chiede alla Maga, la implora: lasciami vedere un giorno come vedono i tuoi occhi.
La struttura del romanzo è sperimentale, è
personale. L’autore stesso ne parla all’inizio dell’opera. Ma non è questo
l’aspetto più alto del romanzo, ne è solo l’aspetto più insolito. Su tutto
aleggia un senso di confuso smarrimento e di profonda solitudine: in fondo non esiste otherness … la vera
alterià non poteva realizzarsi con un solo termine, alla mano tesa doveva
corrispondere un’altra mano da fuori, dall’altro.
La vita mette alla prova: sospetti, dolori,
incomprensioni soffocano i sentimenti, indeboliscono i desideri. Restano i
ricordi e la certezza di incolmabili distanze, mancanze.
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