Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

domenica 6 gennaio 2019

21 LEZIONI PER IL XXI SECOLO


In  un futuro non troppo lontano l’algoritmo ci “seppellirà” … metaforicamente, ma non troppo. È questa in buona sostanza la tesi del libro di Yuval Noah Harari, 21 lezioni per il XXI secolo. E, in effetti, il controllo totale da parte degli algoritmi pare proprio un fenomeno inarrestabile. Del resto, indietro non si torna, si sa, né sarebbe consigliabile per molti aspetti a cominciare dalla medicina. Tuttavia c’è un rischio grave che dobbiamo prendere in considerazione: quando qualcuno avrà messo a punto la tecnologia per controllare abusivamente i sentimenti e per manipolarli, la politica democratica si trasformerà in un teatro di marionette emotive: la dittatura digitale sarà (oppure già è?) un processo per cui i politici al potere forse potranno anche fare le loro scelte tra opzioni differenti, ma tutte queste opzioni deriveranno dall’analisi dei Big Data e rifletteranno il modo in cui l’Intelligenza Artificiale vede il mondo, più che il modo in cui lo vedono gli uomini e le donne.

Non si tratta di auspicare un improponibile ritorno all’oscurantismo o di negare ciecamente gli indiscutibili vantaggi che la rivoluzione tecnologica ha prodotto; però, un dato è certo, non possiamo demandare agli algoritmi le scelte, le decisioni, sui nostri destini individuali e collettivi.
Certo non è facile trovare soluzioni all’altezza del problema, della complessità del mondo, soluzioni capaci di contrastare la seduzione che la tecnologia è in grado di esercitare con il suo fascino e con le sue promesse di felicità. La società è nel caos, non tiene il passo rispetto alle vorticose trasformazioni in atto: la scuola è ferma alle sue nozioni e informazioni di base (che invece Wikipedia, in molti casi, fornisce in maniera precisa e forse più completa); il lavoro richiederà presto competenze oggi imperscrutabili; adattamento e flessibilità saranno le nuove parole d’ordine, con la conseguenza – sottolinea con una certa preoccupazione Yuval Noah Harari – di una crescita esponenziale di malattie legate allo stress perenne che il lavoratore dovrà subire per fronteggiare la velocità del cambiamento e la riconfigurazione reiterata dei profili professionali. Questa sarà (è) la realtà. Chi non si adatta ai tratti di una società perfetta, ma disumana, è già fuori: è capitato a John il Selvaggio che ha deciso di impiccarsi nel Mondo nuovo di Huxley. Ma – molti obietteranno – è solo letteratura! Eppure, in tempi recenti, la sorte di David Foster Wallace e di Mark Fisher non è stata molto diversa. C’è chi con acutezza e sensibilità previsionale avverte e vive su di sé, dolorosamente, la distonia tra il proprio essere e il sistema. La tecnologia naturalmente non ha colpe. Nasce con un preciso obiettivo: “semplificare”. Tuttavia, a forza di semplificare si perdono tutte quelle sfumature che rendono umana la vita. Se odiare è più semplice che comprendere, se  imporre è più semplice che spiegare, la conseguenza è chiara: saremo più violenti, meno comprensivi, i governi “semplificheranno” ogni iter fino ad abolire i dibattiti parlamentari, “correggeranno” la lentezza democratica e preferiranno l’efficienza dell’uomo solo (e forte) al comando, che attraverso accorti sondaggi sui social media potrà monitorare e manipolare a proprio vantaggio l’opinione pubblica.
Fuggire dal mondo, fuggire da se stessi? Ovviamente no.
La tecnologia non è cattiva. Se sapete che cosa volete nella vita, la tecnologia può aiutarvi a ottenerlo. Ma se non sapete che cosa volete nella vita, sarà fin troppo facile per la tecnologia dare forma alle vostre intenzioni al posto vostro e prendere il controllo sulla vostra vita. Il contrario della libertà è la schiavitù, ammonisce Yuval Noah Harari e se abdichiamo all’esercizio costante della nostra umanità lo slittamento dalla libertà alla schiavitù sarà un processo inevitabile.

Il rischio sta nell’uso che il prometeismo dell’Homo deus fa della tecnologia; sembra essersi realizzato il sogno baconiano delineato nel profetico libro La nuova Atlantide: allargare i confini del potere umano verso la realizzazione di ogni possibile obiettivo. Davvero è questa l’essenza della felicità? Realizzare ogni possibile obiettivo? Tutto ciò che si può fare, si deve fare? E poi, abbattuta ogni frontiera dell’esperibile, quale orizzonte resterà? Quale sarà il prezzo da pagare quando una possibile Intelligenza Artificiale programmata – supponiamo – per salvaguardare l’ecosistema dovrà dirigersi contro chi lo sta distruggendo, cioè, contro l’uomo? Certo, è uno scenario apocalittico: lo immagina Frank Schätzing nel suo ultimo libro, La tirannia della farfalla.
Per Yuval Noah Harari la risposta sembra essere una sola, rivoluzionaria pur nella sua semplicità: imparare a conoscere il proprio sistema operativo. Ciò significa, in altre parole, come disse qualcuno un po’ di anni fa, conosci te stesso. Se riusciremo a indagare chi siamo davvero, rimarremo umani, umanizzeremo la scienza e la tecnologia perché non si convertano nel loro contrario, in incoscienza. E per farlo dobbiamo imparare a vivere il nostro presente, conoscerlo bene, fino in fondo, guardarlo con occhi attenti e non ottenebrati da illusioni, narrazioni, false speranze di lontane felicità: il futuro si costruisce oggi. Marco Aurelio rivolgendosi all’uomo di ogni tempo, gli sussurrava:  la verità è che tu non ti ami, altrimenti ameresti anche la tua natura.


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