Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

giovedì 17 agosto 2023

POETRY KITCHEN

                                             

Mentre altrove piovono bombe sparano
droni cannoni e altre simili cose
la giraffa spicca il volo supera la muraglia
sotto il rullo di tamburi a sequestrare
il cielo
(R. Ciccarone, "Mentre altrove piovono bombe", Poetry kitchen, 2023)     

Orazio nell’Ars poetica scriveva: ut pictura poesis. La tradizione ha ritenuto la poesia simile a un quadro, in grado cioè di rappresentare la realtà, e perciò sin dai tempi più remoti è stata sempre dotata di un’intrinseca comprensibilità finalizzata alla trasmissione di un messaggio chiaro e definito. Quella tradizionale si configura perciò come una poesia di “cose” nel senso che – anche quando gli sperimentalismi sono diventati più arditi e acuti -  c’è sempre stato un rapporto diretto tra le parole e le cose, tra l’idea e il linguaggio atto ad esprimerla. Tuttavia il Novecento con il suo carico di irrazionali atrocità culminate nell’Olocausto e nell’atomica su Hiroshima e Nagasaki, con l’inquietante “banalità del male” commesso da persone ordinarie e ritenute benpensanti, con quella sua inquietante e forse irripetibile atmosfera che Mark Fischer ha definito wird and eerie e che ha reso la distopia un dato di fatto, ebbene il Novecento ha rotto il legame tra le parole e le cose. Quando le "follie di morte", per usare un’espressione montaliana, hanno dettato tempi e fatti della Storia, mistificando il linguaggio e frantumando ogni orizzonte di senso, quale possibilità comunicativa può ancora essere attribuita alla poesia? Se c’è un vuoto di senso è a quel vuoto che la poesia deve dare voce.

Stat rosa pristina nomine. Nomina nuda tenemus: così U. Eco concludeva il suo celebre romanzo Il nome della rosa. Ci restano solo nomi e ogni nome è un flatus vocis che non approda a nessun significato definito e compiuto. È desolazione? È libertà? I poeti non giudicano e non hanno risposte né perciò possono fornirle, però traducono nelle loro scelte lo Zeitgeist, lo spirito del tempo in cui vivono.

Incontri di suoni, fascinazioni lessicali, accostamenti inediti e inusuali tra nomi, personaggi mitologici, oggetti tratti dalla quotidianità più ordinaria, frantumazione della metrica, scomparsa delle rime, andamento prosastico, assenza di punteggiatura sono i tratti di un modo diverso di fare poesia, come dimostrano gli artisti che nelle due antologie di Poetry Kitchen (la prima pubblicata nel 2022, la seconda nel 2023) hanno raccolto versi ricchi di una dirompente carica di libertà espressiva. Sebbene nell'antologia edita nel 2023, M. L. Colasson dichiari apertamente che "la poesia kitchen non ha identità alcuna (...) disconosce i concetti di avanguardia e retroguardia", tuttavia, a una lettura attenta, la Poetry kitchen per certi aspetti può ricondursi al modello rivoluzionario avanguardistico-surrealista, pur distaccandosene sia per la mancanza di tensione polemica, di critica radicale contro la tradizione classica, sia per la perdita del carattere orfico-onirico-rivelativo che ha caratterizzato buona parte della poesia d’Avanguardia.


Poetry kitchen, 2022

Nella Poetry Kitchen non c’è rabbiosa cesura con il passato, piuttosto si assiste a un riuso libero del patrimonio culturale della tradizione, dissezionata, atomizzata e riadattata per dare vita a forme completamente nuove, attraversate da correspondances capaci di avvicinare cose e parole normalmente irrelate ma che la creatività artistica può accostare e che la libertà interpretativa ha il diritto di ricomporre, scorgendovi significati possibili, brandelli di verità nascoste, suggestioni emotive: "la poesia assomiglia a un unicorno vestito da pappagallo" (M. L. Colasson, Poetry Kitchen 2023)

La Poetry kitchen è decostruttiva, slegata dal referente.  Nell'introduzione alla seconda raccolta (2023) G. Linguaglossa osserva che la Poetry kitchen è "un gioco di specchi (...) di fuochi d'artificio (...) una bizarrerie". 

Poetry kitchen, 2023

“Sono stanco che il Sole resti in cielo, non vedo l'ora che si sfasci la sintassi del Mondo”, scrive I. Calvino  nell’excipit del Castello dei destini incrociati. E così smembrando sintassi e ritmi, la Poetry kitchen registra lo sfaldamento delle archittetture tradizionali ritenute incrollabili,  dà atto della caduta di quelle granitiche cattedrali di certezze e si apre a letture personali, sollecita contributi esegetici che mettano in gioco la creatività di chi legge, intercetta lo sguardo di chi cerca strade non battute dai più. "Il mito è falso, ha narrato il falso", nota G. Linguaglossa (Poetry Kitchen 2023) alludendo all'inesorabile crepuscolo degli idoli  cui la tradizione si è illusoriamente aggrappata.

Eppure tra i labirinti delle possibilità sembrano farsi strada alcuni punti fermi.

Si avverte, per esempio nei versi di Raffaele Ciccarone(Poetry kitchen 2022) un acuto rilievo rivolto alla contemporaneità e alle sue derive: “una Olivetti 32 vuole descrivere la storia/ dice di averla tutta nei tasti”. Emerge chiaramente il riferimento alla manipolazione dei fatti storici operata da una sempre più incontrollabile tirannide tecnologica simboleggiata dalla “Olivetti 32”. Si tratta di una sottile denuncia contro l’arroganza di un presente dominato dal prometeico vortice di un’iperdigitalizzazione che reprime ogni tentativo di inversione della rotta: il potere dei “tasti” schiaccia ogni alternativa. Controllati da un invisibile Panopticon viviamo in una dittatura algoritmica, offrendoci spontaneamente alla sovraesposizione, sentendoci erroneamente liberi di esprimerci senza capire che forse proprio questa pornografia dei dati che noi stessi forniamo nasconde una profonda opacità che sconfina nel controllo. L’altra faccia della razionalità algoritmica è infatti un regime di sorveglianza digitale: la macchina possiede ormai la storia e “dice di averla tutta nei tasti”. E non c’è scampo: la tirannide tecnologica non lascia spazi vuoti, profana persino gli altari delle chiese: “il prete perdonava tutti seduto al touch screen” (F.P. Intini, Poetry kitchen, 2023)

Con tono amaramente ironico Giorgio Linguaglossa nei suoi componimenti, registra il definitivo tramonto della domanda e del dubbio: “i punti interrogativi si sono ribellati e sono stati sostituiti/ dai punti esclamativi” (Poetry kitchen, 2023). L’età della ricerca, dei perché, dei percorsi anche tortuosi attraverso cui si sperimentava il piacere della conoscenza fatta di curiositas, è finito e con la domanda è per sempre scomparso il tempo dell’ascolto, dell’apertura all’altro da sé. La pretesa dell’assoluta validità delle proprie affermazioni si accampa oggi con la perentorietà propria di chi è pronto a schiacciare il punto di vista altrui. Sono le domande che creano relazioni, dialoghi, attese di risposte, confutazioni, confronti, incontri, possibili convergenze, altrimenti è l’afasia. La scomparsa della domanda come sparizione dell’altro determina una tribalizzazione dei comportamenti: mi confronto solo con chi la pensa come me e chi non è con me è contro di me. Persino l’algoritmo asseconda questa chiusura tribale nelle filter bubble che restringono l’orizzonte delle informazioni a ciò che asseconda i gusti e le preferenze personali. Le conseguenze sono tristi: isolamento intellettuale, riduzione del confronto, polarizzazione delle opinioni e di conseguenza incremento degli scontri a danno del dialogo e del rispetto delle posizioni altrui.

D’altra parte, se, però, mancano gli approdi, è comprensibile l’atto di ribellione dei punti interrogativi: se il verbum non riesce più a dire il verum, la domanda è inutile e la parola può diventare vocabulum, mera vox clamans in deserto con cui “giocare” come i poeti kitchen dimostrano. Quello dell’Essere resta un sogno, forse un desiderio che la storia ha spazzato via e, scrive F.P. Intini, citando i versi di Quasimodo, giace “trafitto da un raggio di Sole”, un Sole che come un dardo ferisce senza ormai illuminare più niente, senza più aura divina. E perciò quella sullo “smarrimento” del mondo contemporaneo resta kafkianamente una “domanda” senza risposta, consegnata all’assurdo: “alla domanda sullo smarrimento, la pratica passò di ufficio in ufficio” ((F. P. Intini, Poetry kitchen, 2023).

Siamo immersi in un caos febbricitante: “il rumore della marmitta fracassa il tetto/il vetro si sbriciola”, (R. Ciccarone, Poetry Kitchen 2022), quello delle città è un “ruggito” che aliena (M. L. Colasson, Poetry Kitchen 2023) e che ricorda, con la sua carica spersonalizzante, la rue assourdissante che rendeva a Baudelaire impossibili i suoi desideri d’incontro e d’amore. E in questa realtà confusa, “in assenza di una scacchiera” (R. Ciccarone, Poetry Kitchen 2022), trasciniamo i nostri giorni, condannati ormai a una politica senza progetti, una politica incapace cioè di suggerire una direzione ai destini di masse travolte da false promesse e ripetuti inganni. “La lunga mano della pubblicità” (F. P. Intini, Poetry kitchen, 2023) condiziona scelte e condotte, colonizza l’immaginario, ha preso il posto della politica nel fornire risposte ai bisogni della gente.

I poeti antologizzati nei due volumi Poetry kitchen con il loro tocco leggero planano sul presente constatandone – senza grevi condanne o nostalgie per stagioni irrevocabili - la palustre immobilità: “la girandola è ferma, il vento assente” (R. Ciccarone, Poetry Kitchen 2022).

Sembra non esserci più spazio per imprese eroiche, per ambizioni, aspirazioni grandiose: la poesia dà voce allo stato d’animo di chi, nella sua prigione quotidiana, si sente “come un gambero messo in padella che frigge/ e saltella” (M. L. Colasson, Poetry Kitchen 2023). Ma forse anche gli eroi del mito sono un inganno e G. Linguaglossa (Poetry Kitchen 2023) ne rivela il vero volto: Menelao come un uomo qualsiasi, “soffre di eiaculatio praecox”, Clitennestra “posa mezza nuda per il calendario Pirelli” e Menelao, in fondo, è solo un “cornuto”: la tradizione ha mascherato la realtà, ha inventato superbe fole per nascondere l’infinità fragilità dell’umana condizione.

E nell’assuefazione generale al “collasso del simbolico” (G. Linguaglossa, Poetry Kitchen 2023) probabilmente non rimane che “contemplare (…) le acrobazie che un ragazzo fa fare al suo wifi drone” (R. Ciccarone, Poetry Kitchen 2022).

Ebbene, questo forse oggi resta da fare ai poeti: "giocare" con le parole per "sequestrare il cielo" (R. Ciccarone, Poetry kitchen 2023), perché nonostante tutto è in quelle “acrobazie” della creatività che si nasconde la chiave che aprirà ai giovani le porte del futuro.

"Il genere umano non può sopportare troppa realtà", osservava T. S. Eliot. Perciò, suggerisce R. Ciccarone, esiste la forza della poesia, per spiccare il volo, per superare la montaliana "muraglia" di un'ingabbiante datità in cui tristemente, scriveva C. Sbarbaro, "tutto quello/ che è, è soltanto quel che è".