Dopo L’ora di lezione, Recalcati con La luce e l’onda torna a occuparsi di scuola affrontando un tema oggi cruciale, che è il filo conduttore del suo nuovo saggio e ne costituisce peraltro il sottotitolo: Cosa significa insegnare?
In continuità con il suo precedente
lavoro, Recalcati insiste ancora sul carisma del docente che con la sua
passione deve saper accendere negli allievi il desiderio di conoscere. Il maestro illumina, con il suo sapere, e la sua
parola prepara i giovani ad affrontare l’onda del Reale, ossia l’impatto con
l’imprevedibilità e le multiformi manifestazioni dell’esistenza. L’autore
distingue due momenti estremamente costruttivi nell’apprendimento: c’è prima
una forma di necessaria imitazione delle indicazioni del maestro, poi, invece,
diventa fondamentale la soggettivazione di quel sapere, ovvero la
rielaborazione personale. In mezzo c’è uno spazio vuoto, una domanda che
neanche l’esperienza del maestro potrà colmare, perché il maestro non può
essere padrone dell’immenso scibile umano e non può avere tutte le risposte ai
molteplici impatti con il Reale che costituiscono il percorso dell’esistenza di
ciascuno. E proprio attraverso quel vuoto si fanno strada la domanda e la
ricerca, e da lì inizia la costruzione di uno stile originale, il modo autonomo
e singolare che il giovane sperimenterà per affrontare l’onda, la vita. E la
metafora del nuoto diventa, a questo proposito, molto chiarificatrice: “per
apprendere davvero l’arte del nuoto il bambino deve abbandonare la spiaggia per
inoltrarsi tra le onde. Non ha nessuno davanti a sé e non ha più nessuno al suo
fianco. Accade ogni volta che siamo di fronte a una prova. L’amicizia con
l’onda deve essere una nostra invenzione. Il maestro può favorirla ma non
garantirla” (p. 50). Recalcati poi precisa: “solo l’impatto con l’onda può
costringere il bambino a fare proprio quello che ha ricevuto dall’Altro” (p.
50).
Anche il maestro è onda. O
meglio, è luce e onda contemporaneamente: “Ogni maestro è luce e onda nello
stesso tempo: allarga l’orizzonte del nostro mondo sospingendoci verso la
necessaria soggettivazione del sapere. La figura del maestro è una figura della
luce perché mostra l’esistenza di spazi impensati e invisibili e, al
tempo stesso, chiarifica quello che all’allievo può apparire inestricabile e
incomprensibile”. Tuttavia “il suo movimento assomiglia a quello dell’onda
poiché incarna l’impatto dell’allievo con qualcosa che resiste, con una
differenza che non può essere pareggiata, che è incomparabile e che proprio per
questo ci costringe a trovare un nostro stile singolare.” In definitiva, “quello
che è stato scolasticamente acquisito deve essere ripreso in modo singolare,
riaperto, risoggettivato creativamente, reinventato”.
Appare molto interessante che
oggi si ritorni a porre l’attenzione sul valore pedagogico, culturale e sociale
dei maestri. Dopo anni di discredito sociale diffuso e generalizzato, forse
riemerge il bisogno di punti di riferimento. Va fatta, però, una precisazione. Riabilitare
la figura del maestro non significa difendere automaticamente anche la scuola
come istituzione, che oggi presenta tutte le sue falle. È sotto gli occhi di
tutti, la scuola si mostra come una macchina che arranca: povertà di risorse
economiche, che continuano a essere stanziate in modo cospicuo e inspiegabile
alle scuole private e sottratte a quelle pubbliche; precariato persistente;
ingerenza dello Stato in materia di educazione; ipervalutazionismo affidato
alla sommarietà di numeri, spesso attribuiti senza concrete riflessioni e
suggerimenti in grado di modificare in meglio percorsi di apprendimento in
molti casi inefficaci. Si registra una residua militarizzazione del contesto
scolastico: tutto a scuola è “guidato”, dalle uscite didattiche, definite appunto “visite guidate”, alle discussioni, sempre “guidate”, in classe. Tutto è
verticistico e gerarchicamente organizzato: la disposizione dei banchi è
orientata verso il docente, gli alunni fra loro si danno le spalle e non
riescono a guardarsi negli occhi; la scuola è diventata – o forse, meglio, è
tornata ad essere – punitiva. Senza dubbio gli smartphone hanno gravi colpe
(anche se c’è da chiedersi in che modo una “cosa” possa avere responsabilità),
ma vietarli è un’esagerazione: è come togliere la patente a tutti, perché ci
sono incidenti. Andrebbe inserita forse l’informatica nei piani di studio:
conoscere per educare. Oggi la scuola orienta… ma ricorrendo all’intervento di
esperti esterni: ammette così, ingenuamente, la propria incapacità e
insufficienza a fornire indicazioni utili a vivere, il proprio distacco dalla
vita. Ciò significa dire erroneamente che la letteratura, la filosofia, le
scienze sono solo “chiacchiere” e che bisogna ricorrere a interventi di
professionisti specializzati per assorbire ciò che la società richiede: la
scuola non sa, non ce la fa, è anacronistica. Si illude di
formare al lavoro, mostrandosi completamente inadeguata, invece, alla rapidità
dei cambiamenti che le nuove tecnologie stanno apportando proprio al mondo del
lavoro: quello per cui formiamo oggi, forse domani non esisterà più, almeno nei
modi in cui noi l’abbiamo presentato. I docenti oggi sono costretti a competere
con il “bombardamento disordinato delle informazioni” provenienti dai social:
Bernard Stiegler, le definisce “psicotecniche che minano alle radici la
possibilità di sviluppare un pensiero critico, esercitando delle forme di
captazione dell’attenzione tali da distruggerne la natura” (p.118). L’eredità
del socratismo a lungo custodita dalla didattica sembra evaporare in un attimo.
Insomma, la scuola ha enormi
problemi, ma resta - e Recalcati lo sottolinea chiaramente - un presidio di
umanità e democrazia: custodisce la “pluralità delle lingue” (p. 146), educa
all’ascolto, un valore indiscutibile, perché “la parola senza l’ascolto
dell’Altro è condannata ad essere vuota” (p. 146), insegna il rispetto per la
differenza e forma alla convivenza pacifica.
Una speranza? Certo. La
svolta probabilmente verrà proprio da quelle che vengono liquidate come “chiacchiere”, “fronzoli”,
le solite materie inutili: la filosofia, il latino, l’arte. Queste discipline,
considerate da molti come quelle che “non servono” in un mercato che esige
competenze immediatamente spendibili, potrebbero essere la chiave per il cambiamento.
Saranno loro a restituire ai
giovani la forza di pensare criticamente e di emanciparsi. Potranno sgravarli
dal peso di famiglie che li infantilizzano per colmare i propri deficit
educativi, li affrancheranno da genitori che pretendono di spianare la
strada verso la felicità, ma al contempo caricano di aspettative, demonizzando
ogni errore o insuccesso momentaneo come un disonorevole fallimento.
La scuola è un presidio di
libertà, da tutte le trappole che ingabbiano la crescita. L’antidoto è la
cultura.
E quel pasoliniano “tu splendi”, nella libertà che la “luce” dei maestri saprà insegnare, forse si realizzerà.
M. RECALCATI, La luce e
l’onda. Cosa significa insegnare, Einaudi, Torino, 2025

Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.