Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

giovedì 12 settembre 2019

IL SOGNO DELLA MORTE


  Scrive Julio Cortázar, in Lezioni di letteratura: penso che in un racconto (…) l’irruzione di un elemento assolutamente incredibile, assolutamente fantastico in definitiva, renda più reale la realtà, faccia arrivare al lettore quello che, se fosse detto esplicitamente o raccontato letteralmente, sarebbe solo uno dei tanti resoconti sulle cose che accadono.
  Il confine labile tra realtà e dimensione onirica, l’alternanza tra sogni e sequenza diaristica dei giorni costituiscono la struttura narrativa del breve romanzo Il sogno della morte, opera prima della giovanissima Miriam Masiello. La protagonista, Teresa, costretta dalla malattia all’immobilità, rievoca il passato, guarda con disincanto il poco tempo che le resta, cercando di rendere intensi i momenti di pienezza che riesce a vivere grazie agli incontri con i familiari, in particolare con la nipote Miriam. Tuttavia gli affetti e le cure che Teresa riceve non placano mai la consapevolezza dell’imminente fine: io mi avvicinavo ad una totale frantumazione giorno dopo giorno. 

  Questo tragico stato di cose è amplificato da inquietanti sogni che di notte tormentano la donna. Tra sdoppiamenti, atmosfere buie e visioni angoscianti, Teresa sente di essere in una morsa: nel buio che mi avvolge mentre precipito nell’infinito assisto a una nitida scena che risalta nell’oscurità. Una signora anziana si alza dalla sedia e chiede a una donna più giovane di ballare con lei. Le osservo meglio e capisco che quelle donne sono io. (…) Entrambe sono me. Si abbracciano e scompaiono nel nulla, lasciandomi un nodo intricato in gola.
  La danza macabra, l’abbraccio fatale tra l’anziana donna e la ragazza proiettano nell’incubo lo strazio fisico, psicologico e emotivo di Teresa che sente con tutte le sue fibre di essere sul punto di lasciare la vita, i suoi cari, il mondo. Le intersezioni oniriche potenziano con immagini quello che il semplice racconto non potrebbe dire con esattezza.
  Sono sorprendenti – soprattutto in considerazione della giovane età dell’autrice, appena diciottenne – la capacità di immedesimazione nella psiche della protagonista, la forza empatica con cui Miriam Masiello dà voce ai sentimenti e ai ricordi della donna, il tratto vivido delle visioni oniriche che traducono plasticamente i grovigli emotivi di Teresa.
  In particolare due tratti colpiscono di questo romanzo: da un lato la profonda sensibilità che porta l’autrice a soffermarsi sulla materia prima che anima il mondo, l’amore; dall’altro la scelta razionale, coraggiosa di aver affrontato un tema scomodo, quello della malattia e della morte.
  È vero, certo, che la letteratura dal Decadentismo in poi, sovrabbonda di intrecci più o meno tragici tra Eros e Thanatos, ma non è questo il punto focale del romanzo Il sogno della morte.
  Nel libro di Miriam Masiello, la morte è semplicemente quello che è: c’è, non le si sfugge, fa parte della vita e può diventare un’ossessione per chi quella vita la sta perdendo. Con il suo manto scuro, come nei dipinti medievali del Trionfo della Morte, lei, la Nera Signora abbraccia col suo buio mantello tutti indistintamente. L’aspetto interessante è il coraggio di parlarne. In una società che ha espunto la morte da ogni riflessione, in un’epoca che prolunga artificialmente la vita e la spinge oltre ogni limite possibile, per un’umanità misera che pretende di vincere il tempo chirurgicamente e che riduce l’estetica a strategia del camuffamento biologico, Miriam Masiello mette a nudo la verità: con la morte bisogna fare i conti, prima o poi. E saggiamente, da scrittrice accorta, dimostra che per sconfiggerla c’è solo un modo: alimentare quella foscoliana eredità d’affetti nella consapevolezza – come scriveva Shakespeare - che nulla può difenderti dalla falce del Tempo/ se non un  figlio, che gli tenga testa quando lui ti prenda.
  La vita è sogno: breve, evanescente come un sogno e spesso orientata alla ricerca di illusorie tracce di felicità, come ricordano i poeti da Calderón de la Barca a J. Keats, citato in esergo da Miriam Masiello. Teresa lo ha sperimentato e perciò ripercorre la propria esistenza focalizzando l’attenzione sull’essenziale, su ciò che davvero conta e la sua eredità spirituale è raccolta dalla giovane nipote, Miriam, le cui parole chiudono emblematicamente il romanzo.
  Nelle pagine conclusive del testo Miriam tributa alla nonna Teresa tutta la stima e la tenerezza che un cuore umano può contenere e che documentano in modo tangibile un dato chiaro: non tutto si conclude con la morte, c’è sempre qualcosa che di noi resiste nonostante la finitezza della vita. E la lettera finale di Miriam è la risposta ideale alla pungente domanda che Teresa si pone nei giorni di agonia in ospedale: mi avrebbero facilmente dimenticata o avevo veramente lasciato qualcosa di importante in loro?
  L’altro aspetto significativo del romanzo è l’analisi del sentimento misterioso e indefinibile che lega le persone, a volte inspiegabilmente: l’amore. È condotta in modo accurato la ricostruzione del rapporto fra Teresa e Pietro e, al di là degli interrogativi che restano aperti sulle dinamiche che si intrecciano nelle relazioni umane, c’è una frase che M. Masiello ha inserito nel testo e che racchiude una verità profonda, spesso trascurata: non è vero che l’amore è distaccato dalla ragione o il cervello lontano dal cuore. L’amore è solo questo, ragionare su ciò che si dice o si fa per evitare di ferire l’altro.
  In modo aforismatico e lapidario il romanzo Il sogno della morte fornisce la formula più precisa per riuscire a vivere: ragionare su ciò che si dice o si fa per evitare di ferire l’altro.























































































































































































































































































































































































































































































































































 evitare di ferire l’altro.


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