Scrive Julio
Cortázar, in Lezioni di letteratura: penso che in un racconto (…) l’irruzione di
un elemento assolutamente incredibile, assolutamente fantastico in definitiva,
renda più reale la realtà, faccia arrivare al lettore quello che, se fosse
detto esplicitamente o raccontato letteralmente, sarebbe solo uno dei tanti
resoconti sulle cose che accadono.
Il confine labile
tra realtà e dimensione onirica, l’alternanza tra sogni e sequenza diaristica
dei giorni costituiscono la struttura narrativa del breve romanzo Il sogno della morte, opera prima della
giovanissima Miriam Masiello. La protagonista, Teresa, costretta dalla malattia
all’immobilità, rievoca il passato, guarda con disincanto il poco tempo che le
resta, cercando di rendere intensi i momenti di pienezza che riesce a vivere
grazie agli incontri con i familiari, in particolare con la nipote Miriam.
Tuttavia gli affetti e le cure che Teresa riceve non placano mai la
consapevolezza dell’imminente fine: io mi
avvicinavo ad una totale frantumazione giorno dopo giorno.
Questo tragico
stato di cose è amplificato da inquietanti sogni che di notte tormentano la
donna. Tra sdoppiamenti, atmosfere buie e visioni angoscianti, Teresa sente di
essere in una morsa: nel buio che mi
avvolge mentre precipito nell’infinito assisto a una nitida scena che risalta
nell’oscurità. Una signora anziana si alza dalla sedia e chiede a una donna
più giovane di ballare con lei. Le osservo meglio e capisco che quelle donne
sono io. (…) Entrambe sono me. Si
abbracciano e scompaiono nel nulla, lasciandomi un nodo intricato in gola.
La danza macabra,
l’abbraccio fatale tra l’anziana donna e la ragazza proiettano nell’incubo lo
strazio fisico, psicologico e emotivo di Teresa che sente con tutte le sue fibre
di essere sul punto di lasciare la vita, i suoi cari, il mondo. Le intersezioni
oniriche potenziano con immagini quello che il semplice racconto non potrebbe
dire con esattezza.
Sono sorprendenti
– soprattutto in considerazione della giovane età dell’autrice, appena
diciottenne – la capacità di immedesimazione nella psiche della protagonista,
la forza empatica con cui Miriam Masiello dà voce ai sentimenti e ai ricordi
della donna, il tratto vivido delle visioni oniriche che traducono
plasticamente i grovigli emotivi di Teresa.
In particolare due
tratti colpiscono di questo romanzo: da un lato la profonda sensibilità che
porta l’autrice a soffermarsi sulla materia prima che anima il mondo, l’amore;
dall’altro la scelta razionale, coraggiosa di aver affrontato un tema scomodo,
quello della malattia e della morte.
È vero, certo, che
la letteratura dal Decadentismo in poi, sovrabbonda di intrecci più o meno
tragici tra Eros e Thanatos, ma non è questo il punto focale del romanzo Il sogno della morte.
Nel libro di
Miriam Masiello, la morte è semplicemente quello che è: c’è, non le si sfugge,
fa parte della vita e può diventare un’ossessione per chi quella vita la sta
perdendo. Con il suo manto scuro, come nei dipinti medievali del Trionfo della
Morte, lei, la Nera Signora abbraccia col suo buio mantello tutti
indistintamente. L’aspetto interessante è il coraggio di parlarne. In una
società che ha espunto la morte da ogni riflessione, in un’epoca che prolunga
artificialmente la vita e la spinge oltre ogni limite possibile, per un’umanità
misera che pretende di vincere il tempo chirurgicamente e che riduce l’estetica
a strategia del camuffamento biologico, Miriam Masiello mette a nudo la verità:
con la morte bisogna fare i conti, prima o poi. E saggiamente, da scrittrice
accorta, dimostra che per sconfiggerla c’è solo un modo: alimentare quella
foscoliana eredità d’affetti nella
consapevolezza – come scriveva Shakespeare - che nulla può difenderti dalla falce del Tempo/ se non un figlio, che gli tenga testa quando lui ti
prenda.
La
vita è sogno: breve,
evanescente come un sogno e spesso orientata alla ricerca di illusorie tracce
di felicità, come ricordano i poeti da Calderón de la Barca a J. Keats, citato
in esergo da Miriam Masiello. Teresa lo ha sperimentato e perciò ripercorre la
propria esistenza focalizzando l’attenzione sull’essenziale, su ciò che davvero
conta e la sua eredità spirituale è raccolta dalla giovane nipote, Miriam, le
cui parole chiudono emblematicamente il romanzo.
Nelle pagine
conclusive del testo Miriam tributa alla nonna Teresa tutta la stima e la
tenerezza che un cuore umano può contenere e che documentano in modo tangibile
un dato chiaro: non tutto si conclude con la morte, c’è sempre qualcosa che di
noi resiste nonostante la finitezza della vita. E la lettera finale di Miriam è
la risposta ideale alla pungente domanda che Teresa si pone nei giorni di agonia
in ospedale: mi avrebbero facilmente
dimenticata o avevo veramente lasciato qualcosa di importante in loro?
L’altro aspetto
significativo del romanzo è l’analisi del sentimento misterioso e indefinibile
che lega le persone, a volte inspiegabilmente: l’amore. È condotta in modo
accurato la ricostruzione del rapporto fra Teresa e Pietro e, al di là degli
interrogativi che restano aperti sulle dinamiche che si intrecciano nelle
relazioni umane, c’è una frase che M. Masiello ha inserito nel testo e che
racchiude una verità profonda, spesso trascurata: non è vero che l’amore è distaccato dalla ragione o il cervello lontano
dal cuore. L’amore è solo questo, ragionare su ciò che si dice o si fa per
evitare di ferire l’altro.
In modo
aforismatico e lapidario il romanzo Il
sogno della morte fornisce la formula più precisa per riuscire a vivere: ragionare su ciò che si dice o si fa per
evitare di ferire l’altro.
evitare di ferire l’altro.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.