SONO
COMUNI LE COSE DEGLI AMICI
“Espressione perfetta: amore platonico. Ma è una beffa che vale solo per chi non sappia niente di lui”: sono le parole con cui M. Nucci in Platone. Una storia d'amore si riferisce al grande protagonista del suo libro e della filosofia di ogni tempo: “lui”, Platone, il filosofo “dalle spalle larghe”, come lo battezzò il suo maestro di ginnastica – profeticamente, in considerazione del calibro della sua influenza sul pensiero occidentale - quando ancora per tutti era il giovane Aristocle.
M. Nucci rivela il
carattere mendace costruito da secoli di monopolio culturale cristiano, della
definizione “amore platonico”: il Platone che lo scrittore romano ci
restituisce è, invece, un uomo che ama in modo umano, che vive anche amori sbagliati,
come quello per il giovane Alkis,
seducente e infedele; un uomo che costruì una relazione fatta di affinità
intellettuali, oltre che di appassionato trasporto, con il siracusano Demea,
ispiratore pel progetto politico che per ben tre volte Platone tentò di
realizzare a Siracusa. È a Demea che Platone, nella veste meno conosciuta di
poeta, dedica i versi accorati del “rimpianto per tutto quel che poteva essere
e invece non fu mai”, “l’ultima poesia” che si chiude con una dedica dettata da
una passione ardente: “Tu che hai reso folle d’amore il mio animo. Demea.”
Il libro di M. Nucci
del romanzo ha la veste esteriore, le strategie narrative, la seduzione della
voce narrante: lo Straniero, l’alter ego dell’autore, attraversa
il tempo e la storia, è sì contemporaneo di Platone, compagno di viaggio nella
vita del filosofo, ma è pure vicino alla nostra sensibilità. In ogni punto del
romanzo lo Straniero è pronto a dichiarare l’inafferrabilità di Platone: “ho
passato una vita con quest’idea. Una vita a rincorrere l’uomo, fin dal primo
incontro. Talmente intricato, Platone con la sua scrittura di artista
filosofico, che è impossibile agguantarlo”. Il filosofo ateniese rimane sempre "contraddittorio", al punto che
persino chi lo ama e gli dedica la vita per studiarlo, si sente comunque e
sempre “straniero”, capisce di non poter abitare fino in fondo i suoi passi, i
suoi testi. Eppure l’impenetrabilità, l’oscurità, la difficoltà sono di stimolo
all’amore: χαλεπά τά
καλά, sono difficili le cose belle, lo ha scritto Platone in molti suoi
testi, lo ripete, a se stesso e ai lettori, lo Straniero.
Un romanzo, quello di M. Nucci, che non lascia mai spazio all’arbitrio o alla fantasia:
tutto è testimoniato con cura filologica dai riferimenti alle opere platoniche,
dai Dialoghi ai versi composti dal filosofo e raccolti nell’Antologia Palatina.
Di romanzesco c’è la sfida della ricerca (quête), il tentativo di
cogliere “lo sviluppo dell’anima e dello spirito” di Platone, nonostante la sua
“multiformità”, che lo rende refrattario a ogni possibile tentativo di
interpretazione univoca e definitiva. Di romanzesco c’è ancora l’avventura di
chi, come lo Straniero, è stato pronto a tutto per amore: “ero pazzo di
quell’uomo che faceva sognare, pieno di una fiducia in se stesso che gli
permetteva di lanciarsi verso il futuro come se niente fosse, come se non
esistessero ostacoli. Amavo lui e il suo sogno oltreumano e trovai invece un
uomo che allora era un ragazzino: Aristocle. Un uomo che da allora ho rincorso
di continuo. Ma non per catturarlo. Non per comprenderlo, come se fosse poi
possibile. Solo per continuare ad amarlo”. Tuttavia l’abilità mostrata da Nucci
nella costruzione dell’intreccio narrativo e nella sensibilità che traspare
dalle considerazioni dello Straniero, si affianca al rigore della ricostruzione
storica di un'Atene devastata dalla guerra contro Sparta, di una città caduta
nel baratro della demagogia e della miopia politica dei Trenta Tiranni che
condannano a morte il Maestro, Socrate, uccidendo così, in un simbolico
parricidio, la forza della coscienza critica e decretando la fine di una
civiltà, quella della polis, della parresia, della libertà: un passato che non
sembra poi così lontano e che proietta le sue ombre sul nostro cupo presente.
Una storia d’amore, è il sottotitolo del libro di Nucci: l’amore non è solo l'ammirazione radicale dell'autore per il filosofo, ma è soprattutto la dedizione di Platone per quell’idea di Bellezza a cui il filosofo si impegnò a far somigliare il mondo, affrontando con il coraggio della scrittura, la sua catabasi nelle viscere infernali di un’Atene prostrata. Platone, discendente del sapiente Solone, da cui eredita l’ideale dell’εὐνομία, il buon governo fondato sulla giustizia; Platone, amico del pitagorico Archita che gli lascia come ideale testamento la massima incisa sull’architrave della scuola tarantina e poi confluita nel Fedro: κοινὰ γὰρ τὰ τῶν φίλων, “sono comuni le cose degli amici”, è l’uomo che ci lascia un insegnamento immortale. Dalle pagine di M. Nucci si apprende chiaramente quale fu la spinta morale che animò Platone e che dovrebbe essere di monito anche oggi: l’amore appassionato per ciò che si fa e per un’idea di mondo - giusto, bello, umano - che non si può soltanto vagheggiare, ma bisogna sforzarsi di realizzare, rischiando anche di fallire. In Platone - e Nucci lo sottolinea in modo sentito e chiaro - è sempre forte e radicata la convinzione che il sapere è una ricchezza troppo preziosa perché sia coltivata in solitudine contemplativa, è piuttosto un bene che va condiviso (“sono comuni le cose degli amici”, appunto) perché solo “una comunità organizzata con cura” può costituire “una grande scuola per la formazione di uomini capaci nella politica cittadina”.
E oggi ne abbiamo bisogno
più che mai.
Teresa D'Errico
Matteo Nucci, Platone. Una storia d'amore, Feltrinelli, 2025
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