Perché leggere oggi il Quaderno proibito di Alba de Céspedes? Le ragioni sono molteplici: scrittura limpida e chiara, accuratezza dell’analisi sociale del ruolo della donna nel nostro recente passato, profondità dell’analisi psicologica e delle emozioni che si agitano nell’interiorità inquieta dell’essere umano. Tuttavia c’è un punto che lo rende immortale e cioè la particolare capacità di scavare nei meandri più nascosti della vita di coppia, nei silenzi che si cristallizzano in segreti e che finiscono per trasformarsi in muri impenetrabili. I problemi che la scrittrice indaga e che inquinano il matrimonio di Valeria e Michele, i protagonisti del Quaderno proibito, non sono tanto nelle parole dette quanto, piuttosto, nei non detti. A far male non sono solo le bugie, ma la parola repressa, nascosta. Il proibito non è tanto, infatti, nelle azioni o nei desideri, nei tradimenti compiuti e pensati, ma in tutto quello che li ha generati e che è rimasto taciuto per temuta inconfessabilità, per autocensura.
La proibizione
del dire diventa però dichiarazione scritta e nella scrittura le cose
acquistano quella chiarezza e quel peso rispetto ai quali non si può far finta
di niente. Nella scrittura i sentimenti hanno un nome, passano dalla confusione
alla definizione. Dalla scrittura è impossibile la fuga.
Entrambi, Michele e Valeria, scrivono. Lui è l’autore di una
sceneggiatura, che spera possa avere successo come soggetto cinematografico. Lei
affida i suoi pensieri a un quaderno, un diario in cui annota tutta la vita che
quotidianamente svolge, i dettagli del mondo che la circonda e che
improvvisamente le sembra illuminato da una prospettiva nuova, analitica e
critica, forse anche più dolorosa, perché la presa d’atto della realtà, del suo
grigiore, e la coscienza dei desideri a cui non si ha il coraggio di dare
ascolto, non rende automaticamente più felici: “la nascosta presenza di questo
quaderno dà un sapore nuovo alla mia vita, debbo riconoscere che non serve
renderla più felice. In famiglia bisognerebbe fingere di non avvedersi mai di
ciò che accade o, almeno, non domandarsele il significato” (p.16).
Eppure marito e moglie non si raccontano ciò che scrivono, Valeria tiene
addirittura nascosto il suo quaderno, che diventa un ossessivo segreto.
Scrivere per non raccontare.
La scabrosità della sceneggiatura di Michele è ciò che Alba de Céspedes
sottolinea: è la storia di un uomo che a ogni donna racconta di essere una
persona diversa, va per strade malfamate. La forza del testo è “in quella
febbre, nell’ossessione sessuale” del protagonista. Si tratta di un soggetto “molto torbido,
molto scabroso”, dice Clara, l’amica attrice cui Michele si rivolge perché
possa far apprezzare il suo soggetto nell’ambiente cinematografico, ma che
invece ne scoraggia la pubblicazione: il lavoro ha, sì, uno spunto
interessante, ma “bisognerebbe riscriverlo tutto”, dice Clara.
È l’inconfessabilità dei desideri di Valeria che fa del Quaderno
il segreto testimone del suo rapporto con Guido, una relazione che diventa
sempre più profonda fino alla scoperta di un’intimità e di una condivisione che
lei nel marito non trova. Il Quaderno proibito raccoglie lo sfogo
personale della protagonista stanca di essere solo madre e moglie silenziosa, è
l’espressione dei sensi di colpa verso Michele per i nuovi e insospettabili
sentimenti nei confronti di Guido, dà voce alla critica di Valeria verso le
scelte dei figli, descrive l’aspro scontro generazionale con la figlia Mirella
fino alla tacita ammirazione per la sua capacità di autodeterminazione.
Eppure, nulla. Né Michele né Valeria parlano di ciò che scrivono. Al
dialogo aperto e sincero preferiscono il silenzio di giornate sempre uguali.
Valeria ha la certezza che vivere insieme sia solo un’abitudine fondata
sull’ipocrisia, vuol dire continuare a non conoscersi, a mentirsi, a
nascondersi: “La sera quando sediamo a tavola sembriamo chiari e leali, senza
insidie; ma io ormai so che nessuno di noi si mostra qual è veramente, ci
nascondiamo, ci camuffiamo tutti, per pudore o per dispetto” (p.250). Ma nulla
accade, né parole né gesti. Timidi tentativi, al massimo. Vince, però,
l’inerzia.
Nella sceneggiatura di Michele e nel Quaderno proibito di Valeria c’è
tutta la loro insoddisfazione: entrambi cercano nuove identità. Per Michele la
scrittura diventa una possibile alternativa alla monotonia del lavoro in banca,
per Valeria è il sogno di una vita diversa, con un uomo diverso. Entrambi
cercano strade per riappropriarsi di sé, perché avvertono che la loro esistenza
è menzogna, è solo una quotidianità imprigionata in ruoli imposti dalla società:
perciò il buon padre di famiglia – Michele – si sceglie un alter ego
letterario dalla vita torbida e Valeria nel suo Quaderno progetta un
viaggio con Guido: non partirà mai, ma sogna. E si libera del peso di una vita
inautentica. Riporta le parole di Guido che traducono perfettamente il suo
pensiero e esprimono con chiarezza quanto sia forte il sogno che urge alle
porte di un’ingabbiante realtà: “a una certa età tutto ciò che abbiamo fatto
non ci basta più; ha servito solo a renderci quello che siamo. E così come
siamo, quelli che abbiamo voluto o potuto essere, vorremmo incominciare a
vivere nuovamente, consapevolmente, secondo i nostri gusti di oggi. Invece,
dobbiamo seguitare a vivere la vita che abbiamo scelto quando eravamo altri”
(p.127). E questo bisogno di cambiamento è lo stesso che anima Michele, il
quale ammette che “bisogna accettare il tormento di cercare una coscienza nuova,
e cercandola, crearla” (p.168). Forse si tratta di pensieri che Michele ha
assorbito vedendo la vita emancipata di Clara da cui molto probabilmente è
affascinato e sedotto, ma esprimono un’esigenza che in fondo Valeria comprende
e condivide in modo assoluto.
La sceneggiatura di Michele non viene approvata e Valeria comincia a
temere le verità da lei confessate nel Quaderno: “bisogna che bruci il
quaderno al più presto, subito, senza neppure rileggerlo e rischiare
d’intenerirmi, senza dire addio” (p.251).
“Il fallimento della scrittura è dunque – per entrambi – la sigla del
fallimento esistenziale”, scrive L. Mirone in Perché
leggere "Quaderno proibito" di Alba de Cèspedes. E senza
dubbio ha ragione: quella di Michele e Valeria è una storia senza svolta, due esistenze
che restano incompiute e chiuse in un disperato silenzio in cui l’affetto - che
pure sopravvive - non è sufficiente a colmare il desiderio di autenticità, di tensione
verso un altrove possibile.
Però la vita trova strade impensabili per germogliare. Dalle ceneri di
due storie in cui il “bel ritratto” (p.251) ha prevalso sulla sincerità,
nascerà la consapevolezza di Mirella, donna combattiva e forte, che nel valore
della disubbidienza – dolorosa, ma determinata – attua il cambiamento che nella
madre si è atrofizzato nel mero desiderio e si è fermato alla segreta
scrittura.
In quel “salvati, tu che puoi farlo. Vattene, fa’ presto” c’è
l’investitura che la madre dà alla figlia perché possa fare della sua vita
qualcosa di cui essere fiera: una realizzazione scelta con consapevolezza,
nell’amore, nel lavoro, nella società. E così allo sforzo di comprendere la
vita compiuto dalla madre, solo Mirella saprà dare senso, vivendo veramente.
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