Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

sabato 15 luglio 2017

BRUCIARE TUTTO

WALTER SITI, BRUCIARE TUTTO: QUALCHE RIFLESSIONE


Al di là delle polemiche di cui è stato oggetto, Bruciare tutto pone quesiti ineludibili nella vita di ognuno: che cos’è il Bene? che cos’è il Male?

Coppie che si sgretolano, disperse tra violenza e tradimenti; sacerdoti che vivono more uxorio, incuranti del fatto che chi sceglie il sacerdozio accetta anche il voto di castità; una diffusa povertà che la sola generosità caritatevole di una Chiesa sociale non può risolvere; un passato che riaffiora tormentando l’anima e inchiodandola a un incancellabile peccato: questa è la realtà con cui deve fare i conti don Leo. Sospeso tra le storture del mondo, le contraddizioni della Milano “da bere” e quelle della sua anima, il giovane parroco sente fino in fondo il dramma della prossimità fra il Bene e il Male. Il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, che Siti – per sottolinearne la grandezza - definisce «faro di fermezza nell’incubo della Germania nazista», scriveva: «chiunque agisce responsabilmente diventa colpevole». Questa frase condensa il senso dell’intero romanzo di Siti e del conflitto interiore di don Leo. Aggiunge, ancora, Siti: «chi assume la responsabilità si prende sulle spalle le conseguenze della propria azione sugli altri». Insomma, fare il Bene non ti immunizza dal rischio di causare il Male e, spesso, scegliere il male minore non esclude il pericolo di tragiche conseguenze: «Dio ci scampi dal Satana che si presenta sotto forma di buonsenso, o di “male minore”, o di “carità ragionevole” … se la carità è amore, gli innamorati sanno che l’amore non è mai ragionevole … la carità ragionevole è una contraddizione in termini, non è più carità!».
L’uomo si trova in un vicolo cieco.
Il presente è un’avventura difficile, soprattutto per un giovane sacerdote:
«“Non ci indurre in tentazione”: molti il Padre Nostro lo recitano ancora così perché così l’hanno imparato da piccoli – “non abbandonarci alla tentazione” è invece costretto a dire Leo secondo la nuova traduzione della Cei, che invoca una fantomatica aderenza all’originale greco; ma “eisférein” vuol dire “portare verso”, quindi proprio “inducere” come letteralmente ha tradotto Gerolamo. Io lo so, Signore, ah se lo so che sei abbastanza malizioso per metterci alla prova».
Il passato è un tormento, i ricordi di azioni inconfessabili sono una persecuzione:
«Leo picchia sui muri, si ferisce la nocche – la memoria è una bestia sleale: finge di essere parte di noi, addirittura una nostra facoltà, e invece è un verme solitario che decide da solo quando riaffacciarsi alla bocca dello stomaco. Memoria involontaria, la chiamano, ma è al servizio di una volontà nemica; ti colpisce quando sei meno preparato a difenderti, nei momenti di svago o di genuina passione».
E la fatica compiuta per rimuovere gli scomodi e inquietanti incubi che riemergono, si vanifica: «il lavoro di anni si sgretola in un lampo», Soprattutto quando il passato si materializza e si fa vivo: allora diventa più forte la sofferenza ed è inevitabile la costrizione a ricordare. L’inaspettato incontro con Massimo richiama alla mente le vicende del 2003, l’anno in cui «le difese morali di Leo si erano già molto abbassate», un anno che Leo incautamente ha ritenuto  ormai lontano.
Il desiderio, la tentazione, il peccato - che in passato  hanno attratto lui, giovane seminarista, verso il giovanissimo Massimo - diventano ora un’ossessione che convive con il rimorso, il senso di colpa, il richiamo di Dio: «se devo vivere contaminato da questa follia, se sono bacato tarato guasto, profondamente e letteralmente irrecuperabile, perché Dio mi cerca ancora?».

Non resta che la speranza in giorni migliori. Quando gli viene affidato Andrea, un ragazzino «più intelligente della media», ma triste, difficile, figlio di genitori immaturi e irresponsabili, Leo sente che può riscattarsi. E, invece, si danna.
Certo, Leo fa la cosa giusta, rifiuta le richieste di attenzione del piccolo Andrea, cerca di non alimentare la confusione della sua infanzia fatta di solitudine e incertezza. Tuttavia, per un perverso gioco della sorte, Leo sbaglia. Non pecca, lui, eppure non evita la tragedia ad Andrea: «non ho avuto il coraggio di donare la mia vita eterna per impedirti di morire. Ho considerato la salvezza della mia miserabile anima più importante del tuo ancora aperto futuro. Perdonami, dovevo accettare di fare l’amore con te, qualunque prezzo mi fosse costato; l’ossessione avvicina a Dio mentre la morale ce ne allontana».

Su Bruciare tutto aleggia lo spettro della pedofilia, l’ardimento della dedica a don Milani ne ha acuito lo scandalo. Ma non sta in questo il senso del romanzo di Walter Siti.
La vicenda del sacerdote Leo è, forse, un caso estremo, che espone il lettore a una vicenda dagli effetti radicali. Non è in questione  - ma se ne è discusso – se la letteratura possa o debba occuparsi di scandali e dare spazio all’indicibile. Le posizioni sono svariate e inconciliabili, ognuna con le sue ragioni.

Resta, invece, importantissimo il dubbio con cui ci lascia Siti, attraverso le parole di don Leo: «la missione del cristiano non è fare il bene, ma fare la volontà di Dio, e non è sempre detto che le due cose coincidano: era bene per Abramo sgozzare il proprio figliolo? Ma poi, ci siamo mai chiesti con che criteri valutiamo cos’è il bene? Ho paura che ormai, e anch’io mi metto nel mucchio, definiamo “bene” quel che ci fa vivere tranquilli, e “male” quel che ci disturba».

È questo il nucleo di Bruciare tutto: l’inestricabile groviglio tra Bene e Male in cui l’uomo si dibatte.
«Come può essere bella Milano, quando il sole la premia e fa brillare i grattacieli come stoviglie nuove (…). Ma in due punti dolenti, allo zenith, affiora un sospetto d’impurità che presto si materializza in biancore filamentoso (…). Due cirri nuovi nuovi emergono tra le torri dalle profondità del nulla (…). Sembrava tutto sereno e invece il celeste covava in sé questo magone: così il Male nasce dal Bene».

Il senso generale del romanzo sembra tendere verso un nichilismo terrificante: «il “nihil”, il nulla, il tunnel di assurdo su assurdo» pare prevalere su ogni richiesta di senso, su ogni ricerca di Dio, su ogni traccia di fede. Frasi come «Tu che hai vinto la morte, dammi un segno» marcano la disperazione di Leo e lo rivelano in tutta la sua fragilità, mentre si rivolge a un Dio che appare distratto, incurante.
Eppure colpisce la frase conclusiva che Siti sceglie per congedarsi dai lettori: l’orizzonte è salvezza, ancora per un po’.
Forse bisogna smettere di pensare e sforzarsi di mettere il mondo tra parentesi: «non sono forse le parentesi a fare andare avanti il mondo?»




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