Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

domenica 15 gennaio 2017

CROCE SENZA AMORE

HEINRICH BÖLL, CROCE SENZA AMORE

  Heinrich Böll, convinto antinazista, attribuì alla scrittura l’alta funzione critica contro ogni conformismo e accettazione passiva del potere e dei suoi abusi. Vinse il premio Nobel per la Letteratura nel 1972. Anche se di formazione cattolica, rinnegò il cattolicesimo ufficiale, a causa dell’ipocrisia della Chiesa tedesca. Attraversato, tuttavia, da un profondo senso del divino e attratto dalla radicalità rivoluzionaria del messaggio evangelico, conservò sempre un impeto religioso, libero, ribelle, antigerarchico.
  Croce senza amore è la denuncia di un sacrificio inutile: quello di tanti giovani tedeschi costretti alla guerra, irretiti dalle  promesse di un capo demoniaco, spossessati dei loro sogni, indotti a credere in un progetto collettivo, quello di un pangermanesimo violento, da cui la Chiesa non prese mai effettivamente le distanze: il colpo più terribile fu vedere preti in uniforme da ufficiali, curati e terribilmente cristiani, che portavano come distintivo la croce diabolicamente rovesciata accanto alla croce di Gesù Cristo; sì, li vedeva recitare la santa messa, ascoltare la confessione e tenere prediche insulse sull’adempimento del dovere.
  Queste sono le riflessioni di Christoph Bachem che vede nel nazismo la notte della storia, la negazione più profonda del sacrificio di Cristo, tradito da un’umanità sedotta dalla potenza mefistofelica di un capo, di un partito: comprese che la quotidiana ripetizione, a tutte le ore, del sacrificio di Gesù nel mondo è anche una ripetizione del suo dolore, e che da qualche parte nel mondo anche Giuda è ogni giorno davanti all’altare e precipita Cristo nel sanguinoso abisso del tradimento.   Böll analizza il nazismo non dalla parte delle vittime storiche (gli ebrei, i detenuti dei lager), bensì dalla prospettiva di un altro tipo di vittime: i giovani tedeschi, come Christoph, dotati di coscienza critica e costretti alla leva forzata, alla guerra decisa dall’abiezione del potere, al sacrificio di ogni desiderio, alla presa d’atto della fine di ogni possibilità di pace.
  Sono vittime anche i giovani come Hans Bachem, fratello di Christoph. Hans incarna il prototipo dei ragazzi affascinati ingenuamente dal progetto satanico di Hitler, dalla divinizzazione dell’idea di Patria, dall’idolatria del capo carismatico e delle sue promesse palingenetiche, dalla sacralizzazione dell’idea di Stato, percepito come un ente che non tiene in mano la spada per ornamento e che, dunque, deve proteggere il suo diritto col sangue.
  Hans crede nell’equazione Stato = forza impositiva e coercitiva, è certo del valore assoluto della Legge, ignora il principio - che già Antigone aveva insegnato – della disubbidienza civile. E alle osservazioni coraggiose che gli rivolge Joseph, il giovane amico dissidente – quello che proprio lui farà arrestare e consegnerà ai gerarchi nazisti – Hans sente aprirsi una ferita nel cuore, avverte la lacerazione del dubbio, che però reprime sotto l’impeto della forza seduttiva e trascinatrice delle nuove idee; soffoca le latenti incertezze perché le leggi hitleriane gli appaiono risolutive e considera necessari anche il potere persecutorio e l’autorità malvagia che lo stato nazista esercita.      Joseph con acutezza fa fare ad Hans un passo indietro nella storia e gli ricorda che persino Cristo fu ucciso dallo Stato in nome della cosiddetta legge. Böll insiste su questo concetto: Gesù Cristo è stato crocifisso come vittima di quella che agli occhi di tutti era formalmente giustizia e fu giudicato secondo tutte le regole del gioco della giurisdizione. Joseph, dunque, pone una questione attualissima: la consapevolezza che non tutte le leggi sono giuste deve generare il coraggio del rifiuto. E, coerentemente, Joseph oppone al Reich il suo rifiuto. Paga con la deportazione e con la prigionia, ma salva l'onore e la dignità.
  L’accusa di Böll non è tanto verso l’ingenuità di molti che come Hans caddero vittime della retorica nazista.
  La condanna dell’autore è per una Chiesa che ha predicato il valore della croce disgiungendolo da quello dell’amore, facendosi, così, complice di una follia omicida, spacciata come ideologia politica da assassini dello spirito. Si tratta di una Chiesa che, in questo modo, tradisce il suo mandato, che supera Giuda, che non “vende” Dio, ma addirittura lo elude.
  Per Böll non è tanto esecrabile il rapimento intellettuale cui giovani come Hans non vollero, non seppero opporre solide difese. Secondo Böll è pericolosa la disperata inquietudine che ciclicamente s’impossessa degli animi umani e che durante il nazismo fu lasciata a se stessa da parte di chi, invece, avrebbe potuto esercitare il proprio mandato spirituale per curarla. Anzi, peggio, fu addirittura, strumentalizzata, regolata e irreggimentata nella “Gioventù hitleriana”, da parte di un movimento politico destinato a diventare un regime.
  L’accusa di Böll si rivolge ai falsi profeti, seduttori indegni di giovani cuori delusi, serpeggianti e insinuanti corruttori politici che portarono molti ragazzi a credere in una mistica della distruzione, illusoria e ingannevole àncora di salvezza dal vuoto, dal grigiore di esistenze anonime: Hans voleva una linea che procedesse forte e dritta verso l’alto … ma cos’era l’alto? Già, la madre e Chrisoph, per loro la religione era una fiamma luminosa che si leva verso l’alto … ma a lui sembrava che quella strada sfiorasse le esigenze della realtà senza toccarle; le parole croce e sacrificio dovevano avere anche un senso terreno, dovevano essere incluse nel circolo ardente dell’azione; sì, lui voleva vivere di azione. Nessuno, nessuno aveva saputo aiutare il popolo, nessuna comunità religiosa, nessun imperatore … e se ora d’un tratto lo stato otteneva la piena autorità e la assoggettava a una grande opera, voleva esserci anche lui.
  La colpa, certamente, non è dei giovani idealisti febbricitanti d’azione né si situa nel loro bisogno di credere; sta, piuttosto, nei fabbricatori di falsi sogni (Hitler) e nell’incapacità di una secolare istituzione religiosa di rispondere alle esigenze della realtà (cattolicesimo tedesco, Chiesa).
  L’uomo non ha bisogno di dogmi o di verità teologiche astratte, l’uomo vuole trovare un senso terreno, una ragione forte alla sua esistenza, alla sua presenza nel mondo. Se queste istanze vengono deluse, se si lascia spazio all’inquietudine, alla disperazione – sembra dire Böll – vince lo storytelling più accattivante, che, presentato secondo le categorie della Legge, della Giustizia, della Verità, non può che affermarsi.
  Per questo Böll non condanna Hans e i suoi errori: alla fine del romanzo gli restituisce, anzi, dignità, rendendolo autore di un coraggioso atto, un sacrificio eroico che abbina all’idea della croce, quella dell’amore.
  Non c’è redenzione, non c’è assoluzione, invece, per gli allegri babbei che negano la povertà e la miseria, i cui occhi sono velati dal muco disgustoso della mediocrità che nasconde loro il reale: un ceto politico incapace, assetato solo di potere; un corpo religioso distratto e colluso; uno Stato che produce leggi lontane dal senso umano dell’esistenza; una Chiesa senza amore, ma che pure predica la croce: una morale del sacrificio che rende le masse assuefatte all’ubbidienza e le conduce alla distruzione, un’etica della rassegnazione che azzera ogni impeto alla rivoluzione.
  Ubbidienza, rassegnazione: in nome di che cosa?
  In un saggio Böll scrisse: l’evoluzione della società occidentale è improntata da due gerarchie, che ci dominano: lo Stato e la Chiesa, che collaborano sempre molto bene insieme, anche quando eventualmente si combattono, perché naturalmente la subordinazione e l’assoggettamento a questa o a quella gerarchia, serve talora all’altra. Non capiterà mai che, ad esempio, in Germania un qualsiasi partito prenda delle misure serie, critiche o fin aggressive nei confronti di qualsiasi Chiesa. Le Chiese servono ancor oggi da istituzioni addomesticatrici, cosa che a uno Stato può far sempre molto comodo. (1)
  Croce senza amore è un romanzo-denuncia che affronta problemi attuali.
  Se il vuoto esistenziale non viene colmato da risposte all’altezza dell’essere umano, si apre la strada alle pseudo-risposte, alle narrazioni seduttive, che, appunto, seducono e non rispondono. Ma possono improvvisamente trasformare il mondo in una massa sottomessa. Afferma ancora Böll, rispondendo ad un suo intervistatore: la cosa più tremenda che io conosca è la sottomissione, la sudditanza oppure il desiderio di sottomettersi incondizionatamente, questo fare come gli altri, correre con gli altri, cantare con gli altri, marciare con gli altri.
Vorrei soltanto additare le premesse esistenziali, diciamo, per cui sorgono sottomissione e subordinazione. Non c’è bisogno di discutere sugli orrori della guerra, ma la medesima tirannia, ordinata gerarchicamente, lei può trovarla in una scuola, in una parrocchia, sempre là dove sorgono ordinamenti gerarchici, dove si creano dei superiori. L’autorità superiore crea una tale sorta di orrori, crea sottomissione e tirannia. Anche nella vita civile, anche in tempo di pace.(2)
  Croce senza amore non è solo un libro sull’affermazione del nazismo, è una lucida analisi dei processi che conducono alla nascita delle dittature: processi graduali e semplici, che partono dalla apparente normalità delle vite. Ma proprio lì, nel cuore di quella apparente normalità, segretamente pulsano frustrazioni, inquietudini, delusioni pronte ad essere intercettate da chi avrà interesse a sfruttarle.

1 – H. Böll, Une mémoire allemande, 1978
2 – H. Böll, op. cit.

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