Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

domenica 21 ottobre 2018

LA BELLEZZA VIVE IN UN ISTANTE

La mostra di Ubaldo Urbano a Parco Città di Foggia ha un titolo insolito: "Retouchés", ritocchi. Si tratta di riproduzioni su carta di opere che l'autore ha "ritoccato": piccoli interventi per rinnovare l'unicità dei temi portanti di un percorso artistico e ribadirne la persistenza nel tempo.

Urbano conferma, come sempre, l'inconfondibilità del suo stile: volumi plastici e palpabili, contorni netti, di cui è superfluo ricordare il richiamo a Carrà o Casorati, forse solo punti di partenza - necessari più agli osservatori che hanno bisogno di termini di paragone - e non tanto oggettive radici del profilo culturale di Urbano, che si muove, invece, su itinerari creativi e originali. 
Nell'esposizione di Parco Città i "ritocchi" non hanno alterato le costanti della ricerca iconografica di Urbano: atemporalità e aspazialità dei soggetti; tendenza all'essenzialità tematica; cromatismo insistente sulle dimensioni del bruno. L'essenza dei contenuti pittorici converge in modo chiaro su un tema predominante: la figura femminile.
Le donne di Urbano suonano, sognano, dormono, danno vita, allevano, amano. Non sono collocate in cornici spazio-temporali definite: sono loro a creare lo spazio e il tempo; la prospettiva in cui sono inquadrate nasce dalle relazioni che i loro corpi intessono con la dimensione che le circonda. Non c'è storia, non c'è luogo: i corpi femminili sono LA DONNA, incarnano l'idea della donna, la quidditas della donna, dipinta attraverso i colori della Terra, sabbia, ruggine, marrone, verde. Il legame tra terra e donna appare forte e intuibile: come la terra, la donna accoglie; come la terra, la donna dà vita. L'insistenza su questa scelta assume un valore oggi quanto mai incisivo. Rappresentare la donna nella sua pura essenzialità - LEI che si accampa nello spazio, LEI che occupa totalmente l'occhio dell'osservatore e monopolizza l'attenzione di chi guarda, nell'assolutezza della sua asciutta figura - obbliga a riflettere su un dato: la donna rappresenta l'altro sguardo sul mondo.
In una società sempre più virilizzata, in cui, cioè, i modi bruschi della forza verbale o fisica sembrano far ripiombare le relazioni umane in una barbarie iliadica, Urbano riesce in modo unico e gentile, a rappresentare l'alternativa alla forza, allo scontro: nel corpo accogliente della donna, nella sua morbidezza si situa una visone del mondo, un altro modo di vivere i rapporti umani.
La donna incarna da sempre la forza dell'EROS, che è una via immediata e passionale verso la vita, una strada che cerca l'incontro, l'intesa di corpi e di anime. La civiltà ha, invece, troppo spesso soffocato lo slancio propulsivo dell'eros, in nome della sofisticata forza del LOGOS, la ragione catalogante, classificatrice, quella che cerca il discrimine di ogni cosa, per etichettarla, incasellarla.
Della pittura di Urbano, inoltre, colpisce un tratto specifico la capacità di cogliere la bellezza dell'ordinario. In un'epoca come la nostra in cui ci si affanna alla ricerca della stravaganza, dell'eccezionalità, degli effetti speciali, Urbano lascia a chi osserva attentamente i suoi quadri un messaggio che resta impresso in modo indelebile nell'animo. Si tratta di una gratificazione difficile da raggiungere, ma è certo intensa e duratura: Urbano ritrae la bellezza del quotidiano, quella che permette di scoprire il senso della vita nella vita stessa. Molti intellettuali hanno inteso sacrificare la vita all'arte, chiudendosi nella turris eburnea della Bellezza.
Le donne di Urbano ci ricordano, invece, che tocca a noi rendere bella la vita di tutti i giorni.
Le donne di Urbano, nella loro pienezza, accampandosi con volumi forti, concreti, ci dimostrano che la felicità non consiste nell'essere avventurieri dell'assoluto né nel cercare impossibili risposte collettive. Il male di vivere c'è, non si può negare. Eppure la bellezza dell'esistenza non è inafferrabile, si situa in un istante e bisogna saperlo cogliere: una donna suona, un'altra guarda il suo bambino, un'altra ancora chiude gli occhi nel sogno o nell'attesa o nel ricordo. Come scrive Tzvetan Todorov, in quel preciso istante la materia diventa bellezza.