Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

sabato 3 settembre 2016

La formica argentina




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ITALO CALVINO                               


La formica argentina


La formica argentina è un racconto che fa parte della raccolta Gli amori difficili e, insieme a La nuvola di smog ne compone la seconda sezione, intitolata La vita difficile.   
In questa parte della raccolta Calvino allarga lo sguardo dalle vite individuali all’esistenza umana nel suo complesso resa, appunto, “difficile” dal male di 
vivere. Senza ricorrere a correlativi oggettivi di struggente dolore – come fa Montale con le sue note e icastiche immagini: il rivo strozzato che gorgoglia, l'incartocciarsi della foglia riarsa, il cavallo stramazzato – Calvino riproduce una situazione concreta che si trasforma in un’ossessione e paralizza la vita nella sua quotidianità: un’invasione di formiche contro cui non esiste rimedio. A nulla valgono, infatti, insetticidi e trappole. C’è chi specula su questa sciagura e forse trae vantaggi dal perdurare del problema, arrivando persino ad alimentarlo. C’è chi reagisce facendo finta che le formiche non esistano e chi, invece, diventa aggressivo e violento.
Reazioni umane di fronte al pericolo: corruzione, indifferenza, reattività.
La formica argentina non è semplicemente una specie di formica dannosa e invasiva; è, piuttosto, nelle intenzioni di Calvino, la forma che assume l’inquietudine, quando si affaccia su una vertigine senza fondo; è l’assenza di rimedi, l’evanescenza delle soluzioni, non tanto nell’impatto con le contingenze e con i fastidi del “campare”, quanto, piuttosto, di fronte all’esistenza umana nella totalità dei suoi aspetti, un’esistenza che diventa come un macigno insopportabile se non si possiede la forza di imparare l’arte della convivenza con il dolore.
Viviamo in un’epoca in cui la formica argentina si è macroscopicamente ingigantita e ha generato uno stato di incertezza e di angoscia che Bauman ha definito “paura liquida” (1). 
Zygmunt Bauman
Oggi la formica argentina è un immane Titanic, per usare una metafora cara a Jacques Attali (2): tutti intuiamo che c’è un iceberg ad attenderci, nascosto da qualche parte tra le brume del futuro nebuloso, e che ci andremo a sbattere contro per poi sprofondare al suono della musica ….
Mille sono oggi le nostre formiche argentine, i nostri iceberg: la minaccia finanziaria, quella nucleare, quella ecologica, quella sociale, quella terroristica. La molteplicità dei poli di insicurezza generale determina uno stato incessante di paura: la paura più temibile è la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disancorata, fluttuante, priva di un indirizzo o di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente."Paura" è il nome che diamo alla nostra incertezza, alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c’è da fare (3).
Eppure dobbiamo sopravvivere.
Calvino suggerisce di guardare più dall’alto: vivere in un meschino e gracile orizzonte ci costringe a batterci contro problemi gracili e meschini. La terra è in effetti un piccolo punto del cosmo. Già Seneca ricordava che è solo un granello quello su cui navigate, in cui combattete, in cui ordinate i vostri regni (4). Corre l’obbligo, allora, di cambiare prospettiva e prendere le distanze dalle miserie quotidiane. E se la formica argentina  simboleggia il proliferare di guai sempre nuovi con cui l’uomo deve fare i conti ogni giorno, il mare calmo, con il suo continuo fluttuare di colori, con le sue distanze d’acqua, con le sue correnti che spingono lontano, sempre più lontano, verso infiniti orizzonti, sono la metafora usata da Calvino per evocare le nuove prospettive che ognuno è chiamato ad adottare: guardare più dall’alto, prendere le distanze da questa fragile condizione … in fondo quell’esercito di formiche siamo noi.
Del resto, per sopravvivere, abbiamo il dovere della speranza, scrive Bauman, che però, rispetto a Calvino assume una posizione più combattiva. Ancora Seneca – modello insostituibile per ogni linea di pensiero – diceva vita militare est (5): non si possono sognare fughe in mondi iperuranici di oziosa contemplazione; come soldati dobbiamo combattere per affrontare le prove dell’esistenza. Bauman indica nel compito di denuncia degli intellettuali l’inizio di un processo di sradicamento dell’angoscia collettiva: solo mettendo a nudo la complessa rete di nessi causali tra dolori individuali e le condizioni prodotte collettivamente si potrà dare spazio alla speranza. E il compito degli intellettuali è arduo, consiste prima di tutto nel far comprendere a fondo ciò che Seneca già nel I secolo d.C. aveva capito: perdite, duri colpi, fatiche, paure mi hanno quasi subissato:sono cose che capitano ... Tutto ciò che provoca i nostri gemiti, tutto quello che temiamo, sono tributi da pagare alla vita: non chiedere di esserne esente (6). Tuttavia la consapevolezza dell’ineliminabilità dolore è solo un primo passo; occorre con urgenza un nuovo patto degli intellettuali con l’umanità: far conoscere, denunciare, proporre. Che il dolore esiste è una cosa certa. Tuttavia la smisurata crescita delle cause di sofferenza rispetto al passato, è un dato allarmante. Non saranno, forse, costruite ad hoc, le nostre paure? Bauman sostiene che  i prodotti per combattere la paura hanno bisogno di consumatori paurosi e impauriti (7). Sembra chiaro che tante paure arrivano nella nostra vita già con i loro rimedi, un pacchetto in offerta contro pericoli debellabili … al giusto prezzo! Pericoli e paure verrebbero, perciò, alimentati dalla melassa avvelenata, poco avvelenata, anzi così scarsamente avvelenata che finisce con l’ingrassare le formiche argentine. Del resto, scrive Calvino nel suo racconto, il giorno che non ci fossero più formiche i funzionari dell’Ente dove andrebbero? Calvino fa ben capire che gli uomini dell’ENTE PER LA LOTTA CONTRO LA FORMICA ARGENTINA hanno bisogno della formica argentina! Insomma, se non ci fossero le guerre, come si potrebbero vendere le armi che l’industria bellica copiosamente fabbrica? Se non ci fossero le malattie, come vivrebbero coloro che producono i farmaci?
E' bene, allora, fare in modo che il male di vivere non sia acuito dalla passività di un’ignoranza collettiva verso le responsabilità di chi alimenta i pericoli del mondo e specula sulle paure umane.
Solo così si potranno trovare gli antidoti per le formiche argentine che stanno invadendo le nostre vite.

1-      Zygmunt Bauman, Paura liquida, 2006
2-      Jacques Attali, Le “Titanic”, le mondial e nous, in “Le Monde”, 3 luglio 1998
3-      Z. Bauman, op. cit.
4-      Seneca, Naturales quaestiones, Preafatio 12.
5-      Seneca, Epistulae ad Lucilium, 96, 5
6-      Seneca, Epistulae ad Lucilium, 96, 1; 96, 2
7-      Z. Bauman, op.cit



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