Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

martedì 9 agosto 2016

Un guizzo di brace e altri racconti

ALFONSO D'ERRICO

Un guizzo di brace e altri racconti

Critica. Direi quasi scettica. Anzi piuttosto indispettita: un altro esperimento narrativo di mio padre, la scanzonata occupazione di chi crede che “raccontare” sia, in fondo, un passatempo, una “cosa” alla portata di tutti … del resto gli italiani credono di essere un popolo di scrittori, ognuno ha un romanzo nel cassetto…
Pronta con la mia matita rossa e blu, decisa più che mai a dimostrare che narrare è ben altra cosa rispetto al saper scrivere, mi accingo a leggere i racconti di Alfonso d’Errico, magistrato in pensione, nonché mio padre, con lo stesso atteggiamento con cui in genere trascorro i miei weekend invernali, tra pacchi di compiti di Italiano di alunni bravi, ma che credono di essere artisti; colti, ma che ritengono di poter aspirare al Nobel e che, quando assegni il compito “ scrivi un racconto su…”, già si vedono inseriti tra le pagine di manuali scolastici e antologie! Perciò, sentendomi un po’ correttrice di bozze e un po’ maestrina, sono andata alla ricerca degli errori. E invece …
La prima frase su cui si imbatte il mio spirito ipercritico ha un significato dolce, malinconico, vero: ...diceva mia madre parlando in genovese. Il suo pessimo dialetto voleva testimoniarci la scia intensa di un pezzo della sua vita. Nelle trenette al pesto che ogni tanto ci preparava, voleva condensare giorni, gioie, ricordi.( Uno dei mille)
Io la ricordo proprio così, mia nonna. Non è questo, però, che mi colpisce; piuttosto, attrae la mia attenzione il modo in cui la frase termina: … condensare giorni, gioie, ricordi. Renderli densi, fitti, vivi, sottrarli all’indistinto della memoria, all’anonimato delle vaghe impressioni, per rivivere, tra grumi di emozioni, un passato che -  oggettivamente - non c’è più, ma che – soggettivamente - non se ne andrà mai dal cuore. Capisco allora che è questo il desiderio di mio padre, condensare giorni, gioie, ricordi. Trovo sulla sua scrivania, aperto - credo - non a caso, un libro di poesie di Ezra Pound. La matita trattiene le pagine per conservare il segno, il punto in cui la lettura si è interrotta. Trovo una leggerissima linea tracciata da lui per sottolineare poche parole: il tempo ha visto e non tornerà indietro;/ e che diritto abbiamo, noi che conosciamo l’ultimo intento,/ di affliggere il domani con un testamento!
Inoltrandomi nella lettura ho capito il nesso tra i racconti di questa raccolta e i versi di Pound. Per mio padre narrare è stato un po’ come vivere: non testamenti e volontà da far eseguire, non saggi consigli che - l’esperienza lo dimostra - raramente vengono ascoltati; non insegnamenti che, in virtù della sua autorità genitoriale avrebbe potuto - legittimamente - impartire, ma racconti di vita vera, con pazienza e intelligenza intessuti di parole calibrate e ironiche, di vicende apparentemente biografiche, ma dal sapore universale, in cui un insegnamento sicuramente lo trovi, ma nel frattempo ti sei goduto il racconto!
E mentre leggi ti sorprendi, senti che lui ti strizza l’occhio, sa quando ti deve far sorridere e quando ti deve far riflettere. Questo dialogo silenzioso con il lettore somiglia a quello che costruivamo io, lui e mia sorella, di sera, prima di addormentarci: non ci raccontava fiabe, ma “storie” che avevano il tratto dell’umanità, dell’esperienza, delle gioie, degli errori, dei dolori e delle vittorie. Non so quanto fossero vere, ma ci hanno aiutato a vivere. Non testamenti, ma testimonianze. Non monumenti, ma “storie”, che dei monumenti hanno la capacità di imprimersi nella memoria e di rimanerci e che della storia conservano il significato etimologico. Sono frutto, infatti, dell’indagine acuta e della ricerca attenta sui comportamenti e sui sentimenti umani, su quel fondo comune che riduce le distanze tra le persone.
Continuo la mia lettura e mi soffermo su un piacevolissimo racconto dal vago retrogusto oraziano e dal tono tra l’ironico e il bonario; mi incuriosisce un’altra frase: … se fino a quel momento non avevo visto l’ora di liberarmi di quel tizio, ora quasi mi dispiaceva distaccarmene. Avvertivo un inspiegabile senso di vuoto che mi stava attendendo al varco non appena mi fossi separato da quell’ignoto amico di gioventù sbucato all’improvviso da un passato che avevo buttato alle mie spalle.( Al parcheggio)
Di Orazio rivedo l’atteggiamento infastidito di chi si sente importunato e ha altro di più urgente da fare. Nella satira detta “del seccatore” (Sermones, I,9), Orazio descrive il fastidio, la noia, che lui stesso prova durante l’incontro inaspettato e seccante con un tale che lo trattiene in chiacchiere vuote. Il poeta latino suscita il sorriso complice del lettore perché sa che tutti potremmo riconoscerci ora nel suo sentimento di tedio ora nello sfinimento provocato dalla tattica messa in atto dal seccatore. Siamo uomini e sbagliamo sia nell’ascolto distratto sia nell’invadenza. Ma Orazio è indulgente e con la sua ironia bonaria sa assolvere chi, vivendo, incorre in inevitabili errori. Ebbene, Al parcheggio conserva della satira oraziana lo smarrimento di un incontro in un momento poco opportuno, il desiderio di liberarsi quanto prima dell’ignoto e sedicente amico. Risulta, però, senza dubbio originale quell’inspiegabile senso di vuoto che persino la fine di un incontro fortuito potrebbe generare; è del tutto personale il graduale affezionarsi alle ombre che riemergono non chiamate, inaspettate, da un passato che si crede ormai buttato alle spalle e che, invece, non solo vive, ma addirittura se ce lo dimentichiamo, prepotentemente si rifà vivo. Esattamente questo accade al protagonista di Ricerca di parole incrociate: un biglietto riemerso casualmente dalle pagine ingiallite di un vecchio libro di scuola apre il varco a un incontro, restituisce spazio a un passato che non è poi così lontano, così inesorabilmente perso. Vive nei ricordi, nei sentimenti, nelle regioni del “cuore” che non è a compartimenti stagni. Del resto sarebbe una condanna chiudere le porte ai ricordi e vivere solo di attimi, in un presente convulso di esperienze che se non si sedimentano non ci formano. Non è facile vivere dentro i muri di un presente che rinnega il passato e ha difficoltà ad aprirsi al futuro (Ricerca di parole incrociate)
… Già, nella poesia di Ezra Pound c’è un verso che precede quelli sottolineati da mio padre: … basta che una volta siamo stati insieme. E ce lo ricorderemo per sempre. Questo mi pare il messaggio di un libro che non vuole dare insegnamenti, ma che lascia il segno.
Nella vita “basta una volta”. I ricordi ne conserveranno la traccia.


2 commenti:

  1. Teresa, bellissimo post come sempre ma ora devo assolutamente leggere il libro quanto prima!

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    1. Cara Anna, ti ringrazio per i tuoi commenti.
      "Un guizzo di brace..."? ... Una bella lettura tra sorrisi e riflessioni ...

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