Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

sabato 2 luglio 2016

Perché tu non ti perda nel quartiere

PATRIK MODIANO
Perché tu non ti perda nel quartiere

Man mano che passano gli anni ogni quartiere, ogni via della città evoca un ricordo, un dolore, un momento di felicità in coloro che ci sono nati e che ci hanno vissuto. E spesso una stessa strada ti lega a ricordi successivi, al punto che grazie alla topografia di una città tutta la tua vita riaffiora nella memoria a strati, come le scritte sovrapposte di un palinsesto da decifrare. (...)In una grande città ci si può perdere o sparire. Si può anche cambiare identità e vivere una vita nuova. Ci si può dedicare a una lunghissima indagine per ritrovare le tracce di qualcuno, partendo solo da un paio di indirizzi in un quartiere ignoto. Le brevi indicazioni scritte sugli avvisi di ricerca mi hanno sempre ispirato: Ultimo domicilio noto. I temi della scomparsa, dell’identità, del tempo che passa sono strettamente connessi alla topografia delle grandi città. Ecco perché, fin dall’Ottocento, esse sono state spesso il campo d’azione dei romanzieri, e qualcuno fra i più grandi è associato a una città: Balzac e Parigi, Dickens e Londra, Dostoevskij e San Pietroburgo, Tokyo e Nagai Kafū, Stoccolma e Hjalmar Söderberg.
 Io appartengo a una generazione che ha subìto l’influenza proprio di quei romanzieri e che ha voluto, a sua volta, esplorare ciò che Baudelaire chiamava “le pieghe sinuose delle grandi capitali”. (...)


Riguardo ai miei libri avete avuto la bontà di alludere all’”arte della memoria con la quale sono evocati i destini umani più inafferrabili”. Ma un simile complimento supera la mia persona. Questa memoria personale, che tenta di raccogliere qualche frammento del passato e poche tracce lasciate sulla terra da anonimi e sconosciuti, è anch’essa legata alla mia data di nascita: 1945. Essere nato nel 1945, dopo che erano state distrutte delle città ed erano scomparse intere popolazioni, mi ha senz’altro reso più sensibile ai temi della memoria e dell’oblio, come tutti quelli della mia età. 
Purtroppo mi sembra che la ricerca del tempo perduto non si possa più compiere con la forza e la franchezza di Marcel Proust. La società che descriveva era ancora stabile, una società dell’Ottocento. La memoria di Proust fa risorgere il passato nei minimi dettagli, come un quadro vivente. Oggi ho la sensazione che la memoria sia molto meno sicura di se stessa e che debba continuamente lottare contro l’amnesia e l’oblio. Per via di questo strato, di questo cumulo di oblio che ricopre tutto, si possono cogliere solo frammenti del passato, tracce interrotte, destini umani sfuggenti e quasi inafferrabili.
 Forse la vocazione del romanziere, davanti alla pagina bianca dell’oblio, è proprio quella di fare riapparire qualche parola mezzo cancellata, come iceberg dispersi che vanno alla deriva sulla superficie dell’oceano.

P. Modiano, 7 dicembre 2014, discorso in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Letteratura



Perché tu non ti perda nel quartiere è la confusa, incerta ricostruzione, a ritroso, di fatti del passato, sbiaditi dal tempo, che devono aver avuto una certa rilevanza, ma che per qualche enigmatico scherzo della memoria e delle sue intermittenze, si sono persi in meandri troppo complicati da ripercorrere.
La vita appare come un doloroso e faticoso sforzo di risolvere alcuni enigmi che sul momento non erano tali.
Scrive Modiano nel suo romanzo: si vorrebbero decifrare i caratteri per metà cancellati di una lingua troppo antica di cui non conosciamo nemmeno l'alfabeto.
Jean Daragane, il protagonista, avverte il desiderio, il bisogno di rimettere in ordine i tasselli sparsi della sua vita, ma si rende conto che spesso non combaciano. Rimane, perciò, sempre qualcosa di opaco che né la logica né la memoria possono spiegare. Si giustifica, così, la scelta da parte di Modiano, di aprire il suo libro con una frase di Stendhal: non posso restituire la realtà dei fatti, posso solo presentarne l'ombra
Il passato assume i tratti, quindi, di una grande incognita con cui, però, bisogna fare i conti.
Il presente è fatto di solitudine, di incontri fortuiti e non duraturi, certamente non atti a consolare, a dare risposte o soluzioni: non bisogna mai contare su qualcun altro per rispondere alle proprie domande.
Il futuro è ben poca cosa per chi, come Jean Daragane, ha un'età ormai vicina al traguardo.
Resta, però, labile consolazione in un gomitolo di dubbi e incertezze, lo sfumato ricordo di qualcuno che da piccolo ti ha tenuto per mano - forse per amore o solo per senso del dovere - e che ha saputo "farti passare la frontiera", quella che separa l'infanzia dall'età adulta, qualcuno che ha saputo dire non stare in pensiero, infondendoti sicurezza nel buio di un indistinto caos, fra presenze indecifrabili e affetti lontani, inspiegabilmente per un bambino.
Ecco che allora, forse, capisci che alcune persone di cui neppure sospetti l'esistenza, che incroci una volta sola senza mai più rivederle, recitano fra le quinte un ruolo così importante nella tua vita.

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