Mentre altrove piovono bombe sparano
droni cannoni e altre simili cose
la giraffa spicca il volo supera la muraglia
sotto il rullo di tamburi a sequestrare
il cielo
(R. Ciccarone, "Mentre altrove piovono bombe", Poetry kitchen, 2023)
Orazio nell’Ars
poetica scriveva: ut pictura poesis. La
tradizione ha ritenuto la poesia simile a un quadro, in grado cioè di
rappresentare la realtà, e perciò sin dai tempi più remoti è stata sempre
dotata di un’intrinseca comprensibilità finalizzata alla trasmissione di un
messaggio chiaro e definito. Quella tradizionale si configura perciò come una
poesia di “cose” nel senso che – anche quando gli sperimentalismi sono
diventati più arditi e acuti - c’è sempre stato un rapporto diretto
tra le parole e le cose, tra l’idea e il linguaggio atto ad esprimerla.
Tuttavia il Novecento con il suo carico di irrazionali atrocità culminate
nell’Olocausto e nell’atomica su Hiroshima e Nagasaki, con l’inquietante
“banalità del male” commesso da persone ordinarie e ritenute benpensanti, con
quella sua inquietante e forse irripetibile atmosfera che Mark Fischer ha
definito wird and eerie e che ha reso la distopia un dato di
fatto, ebbene il Novecento ha rotto il legame tra le parole e le cose. Quando
le "follie di morte", per usare un’espressione montaliana, hanno
dettato tempi e fatti della Storia, mistificando il linguaggio e frantumando
ogni orizzonte di senso, quale possibilità comunicativa può ancora essere
attribuita alla poesia? Se c’è un vuoto di senso è a quel vuoto che la poesia
deve dare voce.
Stat rosa pristina
nomine. Nomina nuda tenemus: così U. Eco concludeva il suo
celebre romanzo Il nome della rosa. Ci restano solo nomi e ogni
nome è un flatus vocis che non approda a nessun significato
definito e compiuto. È desolazione? È libertà? I poeti non giudicano e non
hanno risposte né perciò possono fornirle, però traducono nelle loro scelte
lo Zeitgeist, lo spirito del tempo in cui vivono.
Incontri di suoni,
fascinazioni lessicali, accostamenti inediti e inusuali tra nomi, personaggi
mitologici, oggetti tratti dalla quotidianità più ordinaria, frantumazione
della metrica, scomparsa delle rime, andamento prosastico, assenza di
punteggiatura sono i tratti di un modo diverso di fare poesia, come dimostrano
gli artisti che nelle due antologie di Poetry Kitchen (la
prima pubblicata nel 2022, la seconda nel 2023) hanno raccolto versi ricchi di
una dirompente carica di libertà espressiva. Sebbene nell'antologia edita nel
2023, M. L. Colasson dichiari apertamente che "la poesia kitchen non ha
identità alcuna (...) disconosce i concetti di avanguardia e
retroguardia", tuttavia, a una lettura attenta, la Poetry kitchen per
certi aspetti può ricondursi al modello rivoluzionario
avanguardistico-surrealista, pur distaccandosene sia per la mancanza di
tensione polemica, di critica radicale contro la tradizione classica, sia per
la perdita del carattere orfico-onirico-rivelativo che ha caratterizzato buona
parte della poesia d’Avanguardia.
Nella Poetry Kitchen non c’è
rabbiosa cesura con il passato, piuttosto si assiste a un riuso libero del
patrimonio culturale della tradizione, dissezionata, atomizzata e riadattata
per dare vita a forme completamente nuove, attraversate da correspondances capaci
di avvicinare cose e parole normalmente irrelate ma che la creatività artistica
può accostare e che la libertà interpretativa ha il diritto di ricomporre,
scorgendovi significati possibili, brandelli di verità nascoste, suggestioni
emotive: "la poesia assomiglia a un unicorno vestito da pappagallo" (M.
L. Colasson, Poetry Kitchen 2023)
La Poetry kitchen è decostruttiva, slegata dal referente. Nell'introduzione alla seconda raccolta (2023) G. Linguaglossa osserva che la Poetry kitchen è "un gioco di specchi (...) di fuochi d'artificio (...) una bizarrerie".
Poetry kitchen, 2023 |
“Sono stanco che il Sole
resti in cielo, non vedo l'ora che si sfasci la sintassi del Mondo”, scrive I.
Calvino nell’excipit del Castello dei destini incrociati.
E così smembrando sintassi e ritmi, la Poetry kitchen registra
lo sfaldamento delle archittetture tradizionali ritenute incrollabili, dà
atto della caduta di quelle granitiche cattedrali di certezze e si apre a
letture personali, sollecita contributi esegetici che mettano in gioco la
creatività di chi legge, intercetta lo sguardo di chi cerca strade non battute
dai più. "Il mito è falso, ha narrato il falso", nota G.
Linguaglossa (Poetry Kitchen 2023) alludendo all'inesorabile crepuscolo
degli idoli cui la tradizione si è illusoriamente aggrappata.
Eppure tra i labirinti
delle possibilità sembrano farsi strada alcuni punti fermi.
Si avverte, per esempio
nei versi di Raffaele Ciccarone(Poetry kitchen 2022) un
acuto rilievo rivolto alla contemporaneità e alle sue derive: “una Olivetti 32
vuole descrivere la storia/ dice di averla tutta nei tasti”. Emerge chiaramente
il riferimento alla manipolazione dei fatti storici operata da una sempre più
incontrollabile tirannide tecnologica simboleggiata dalla “Olivetti 32”. Si
tratta di una sottile denuncia contro l’arroganza di un presente dominato dal prometeico
vortice di un’iperdigitalizzazione che reprime ogni tentativo di inversione
della rotta: il potere dei “tasti” schiaccia ogni alternativa. Controllati da
un invisibile Panopticon viviamo in una dittatura algoritmica, offrendoci
spontaneamente alla sovraesposizione, sentendoci erroneamente liberi di
esprimerci senza capire che forse proprio questa pornografia dei dati che noi
stessi forniamo nasconde una profonda opacità che sconfina nel controllo.
L’altra faccia della razionalità algoritmica è infatti un regime di
sorveglianza digitale: la macchina possiede ormai la storia e “dice di averla
tutta nei tasti”. E non c’è scampo: la tirannide tecnologica non lascia spazi
vuoti, profana persino gli altari delle chiese: “il prete perdonava tutti
seduto al touch screen” (F.P. Intini, Poetry kitchen, 2023)
Con tono amaramente
ironico Giorgio Linguaglossa nei suoi componimenti, registra il definitivo
tramonto della domanda e del dubbio: “i punti interrogativi si sono ribellati e
sono stati sostituiti/ dai punti esclamativi” (Poetry kitchen, 2023). L’età
della ricerca, dei perché, dei percorsi anche tortuosi attraverso cui si
sperimentava il piacere della conoscenza fatta di curiositas, è finito e
con la domanda è per sempre scomparso il tempo dell’ascolto, dell’apertura
all’altro da sé. La pretesa dell’assoluta validità delle proprie affermazioni
si accampa oggi con la perentorietà propria di chi è pronto a schiacciare il
punto di vista altrui. Sono le domande che creano relazioni, dialoghi, attese
di risposte, confutazioni, confronti, incontri, possibili convergenze,
altrimenti è l’afasia. La scomparsa della domanda come sparizione dell’altro
determina una tribalizzazione dei comportamenti: mi confronto solo con chi la
pensa come me e chi non è con me è contro di me. Persino l’algoritmo asseconda
questa chiusura tribale nelle filter bubble che restringono l’orizzonte
delle informazioni a ciò che asseconda i gusti e le preferenze personali. Le
conseguenze sono tristi: isolamento intellettuale, riduzione del confronto, polarizzazione
delle opinioni e di conseguenza incremento degli scontri a danno del dialogo e
del rispetto delle posizioni altrui.
D’altra parte, se, però,
mancano gli approdi, è comprensibile l’atto di ribellione dei punti
interrogativi: se il verbum non riesce più a dire il verum, la
domanda è inutile e la parola può diventare vocabulum, mera vox
clamans in deserto con cui “giocare” come i poeti kitchen dimostrano.
Quello dell’Essere resta un sogno, forse un desiderio che la storia ha spazzato
via e, scrive F.P. Intini, citando i versi di Quasimodo, giace “trafitto da un
raggio di Sole”, un Sole che come un dardo ferisce senza ormai illuminare più
niente, senza più aura divina. E perciò quella sullo “smarrimento” del mondo
contemporaneo resta kafkianamente una “domanda” senza risposta, consegnata
all’assurdo: “alla domanda sullo smarrimento, la pratica passò di ufficio in
ufficio” ((F. P. Intini, Poetry kitchen, 2023).
Siamo immersi in un caos
febbricitante: “il rumore della marmitta fracassa il tetto/il vetro si
sbriciola”, (R. Ciccarone, Poetry Kitchen 2022),
quello delle città è un “ruggito” che aliena (M. L. Colasson, Poetry Kitchen 2023)
e che ricorda, con la sua carica spersonalizzante, la rue assourdissante che
rendeva a Baudelaire impossibili i suoi desideri d’incontro e d’amore. E in
questa realtà confusa, “in assenza di una scacchiera” (R. Ciccarone, Poetry
Kitchen 2022), trasciniamo i nostri giorni, condannati ormai a una
politica senza progetti, una politica incapace cioè di suggerire una direzione ai destini di
masse travolte da false promesse e ripetuti inganni. “La lunga mano della
pubblicità” (F. P. Intini, Poetry kitchen, 2023)
condiziona scelte e condotte, colonizza l’immaginario, ha preso il posto della
politica nel fornire risposte ai bisogni della gente.
I poeti antologizzati nei
due volumi Poetry kitchen con il loro tocco leggero planano sul presente
constatandone – senza grevi condanne o nostalgie per stagioni irrevocabili - la
palustre immobilità: “la girandola è ferma, il vento assente” (R. Ciccarone, Poetry
Kitchen 2022).
Sembra non esserci più
spazio per imprese eroiche, per ambizioni, aspirazioni grandiose: la poesia dà
voce allo stato d’animo di chi, nella sua prigione quotidiana, si sente “come
un gambero messo in padella che frigge/ e saltella” (M. L. Colasson, Poetry
Kitchen 2023). Ma forse anche gli eroi del mito sono un inganno
e G. Linguaglossa (Poetry Kitchen 2023) ne rivela il vero
volto: Menelao come un uomo qualsiasi, “soffre di eiaculatio praecox”,
Clitennestra “posa mezza nuda per il calendario Pirelli” e Menelao, in fondo, è
solo un “cornuto”: la tradizione ha mascherato la realtà, ha inventato superbe
fole per nascondere l’infinità fragilità dell’umana condizione.
E nell’assuefazione
generale al “collasso del simbolico” (G. Linguaglossa, Poetry Kitchen 2023)
probabilmente non rimane che “contemplare (…) le acrobazie che un ragazzo fa
fare al suo wifi drone” (R. Ciccarone, Poetry Kitchen 2022).
Ebbene, questo forse oggi
resta da fare ai poeti: "giocare" con le parole per "sequestrare
il cielo" (R. Ciccarone, Poetry kitchen 2023), perché
nonostante tutto è in quelle “acrobazie” della creatività che si nasconde la
chiave che aprirà ai giovani le porte del futuro.
"Il genere umano non
può sopportare troppa realtà", osservava T. S. Eliot. Perciò, suggerisce
R. Ciccarone, esiste la forza della poesia, per spiccare il volo, per
superare la montaliana "muraglia" di un'ingabbiante datità in
cui tristemente, scriveva C. Sbarbaro, "tutto quello/ che è, è soltanto
quel che è".