Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

mercoledì 8 dicembre 2021

IL DANNO SCOLASTICO

 

Accade spesso che il dibattito sul valore di un libro sia fortemente influenzato da condizionamenti ideologico-politici che privano la discussione di quell’onestà intellettuale, di quella serenità di giudizio necessarie a cogliere del libro il suo significato di fondo e lo spirito che lo anima. Certo, nessuno è completamente immune da personali orientamenti nei criteri di valutazione che adotta, tuttavia sembra opportuno lasciare spazio a letture e a interpretazioni il più possibile obiettive. 


“Il danno scolastico” è uno di quei saggi profondamente divisivi: un forte pregiudizio sul presunto conservatorismo degli autori ha caratterizzato le recensioni finora pubblicate (cfr. Vanessa Roghi e Christian Raimo, https://www.minimaetmoralia.it/wp/altro/come-non-conoscere-o-non-capire-nulla-della-scuola-democratica-ovvero-il-danno-che-provocano-le-confuse-opinioni-di-luca-ricolfi-e-paola-mastrocola/ e Vincenzo Sorella, https://www.doppiozero.com/materiali/mastrocola-e-ricolfi-quale-e-il-vero-danno-scolastico).

Si tratta di critiche provenienti da un mondo che si autodefinisce di sinistra, espressione di una pseudosinistra neoliberista che da decenni ha in effetti snaturato la scuola, allontanandola dalla sua antica vocazione culturale, per curvarla verso orizzonti sempre più marcatamente aziendalistici e economicistici di cui, peraltro, viene goffamente mimato il linguaggio.

Da lettrice e docente, del saggio di Mastrocola e Ricolfi apprezzo la chiarezza espositiva e l’appassionata difesa di un’idea alta della scuola come ultimo baluardo di resistenza contro attacchi – ipocritamente chiamati “riforme” - che da anni la stanno impoverendo e destrutturando. Con una pericolosa operazione di manipolazione del linguaggio – in atto, a dire il vero, in diversi campi, come ha recentemente ribadito G. Carofiglio nel suo recente “La nuova manomissione delle parole” – si dichiara propagandisticamente di voler mettere la scuola “al centro”, ma nei fatti le si sottrae sempre più calibro, valore, spessore: si riempie il tempo scolastico di tutto (progetti, gite, orientamenti universitari, alternanza scuola-lavoro, incontri con esperti di vario genere, test Invalsi), si svuota la vita scolastica di senso. È chiaramente un disegno preciso: si chiama “ampliamento dell’offerta formativa”, ma l’unica cosa che si dovrebbe ampliare – l’orizzonte culturale – resta annebbiato. Non c’è tempo per imparare. Per ora è così e bisogna ammetterlo, con buona pace dei difensori della scuola “progressista”, se per progressismo costoro intendono la costante distrazione da quello che dovrebbe essere l’aspetto prioritario della scuola: la cultura.

Bisogna essere chiari: la scuola oggi offre davvero poco. Nel tempo residuale – tra una videoconferenza con esperti chiamati per fornire delucidazioni sulle possibili scelte universitarie che il territorio offre, e una videolezione sulla piattaforma per l’alternanza scuola-lavoro, che riguardo al lavoro non presenta niente e si riduce a una noiosissima lezione frontale che gli studenti sono costretti a seguire per mero adempimento burocratico – ebbene, nel tempo che resta, si fa solo quel che si può: poco.

E se Mastrocola e Ricolfi denunciano questo deficit di spessore della scuola pubblica, se cioè denunciano il falso progressismo della scuola pubblica che si è tradotto solo in un abbassamento vertiginoso dell’offerta culturale, non sbagliano. A ciò si aggiunga anche la pessima selezione dei docenti, immessi nei ruoli attraverso concorsi facilitati: si capirà perfettamente che agli studenti lo Stato davvero non fornisce le lenti necessarie a decodificare il mondo, la realtà, la storia, la complessità. Ne deriva, ovviamente, che poi abbandonano lo studio, non si iscrivono all’università. La scuola non li prepara abbastanza. Gli autori del saggio “Il danno scolastico” questo dicono: la scuola oggi non prepara. È vero, è sotto gli occhi di tutti, è un dato confermato: all’ultimo concorso in magistratura (luglio 2021) il 94% dei candidati è stato bocciato (https://www.ilsussidiario.net/news/magistrati-concorso-flop-94-bocciati-scrivono-male-allarme-servono-800-idonei/2260936/): gente laureata che ha lacune nell’italiano scritto, nella formulazione scritta del proprio pensiero, costituisce un risultato allarmante. E non è soltanto questione di grammatica, è un problema più profondo che investe la capacità di formularli, i pensieri, di dipanare il groviglio che li intrappola e che impedisce di tradurli in parole. Un problema serio, non solo linguistico: tredici anni di scuola e cinque di studi universitari evidentemente non risultano sufficienti a dotare le persone delle competenze comunicative necessarie a superare un concorso pubblico.

E quale sarebbe la colpa di Mastrocola e Ricolfi? Aver denunciato l’ovvio? Deideologizziamo il dibattito e riconosciamo obiettivamente le falle del sistema scolastico italiano, ammettiamo la colpa più grave della scuola: aver smesso di insegnare in nome di un’ipocrita idea di “inclusività” che garantisca a tutti il “successo formativo”. L’inclusione è un principio sacrosanto (soprattutto se a giovarne sono tutti gli alunni BES, i più bisognosi di attenzione e cura), giustissimo è pure l’impegno ad assicurare agli studenti la piena realizzazione di sé, ma tutto questo non può e non deve essere l’alibi per l’abbassamento degli obiettivi culturali come quello che oggi i giovani stanno subendo. Lo ha spiegato bene A. D’Avenia (https://www.corriere.it/alessandro-d-avenia-ultimo-banco/21_novembre_14/altezza-quadri-bee501f4-458c-11ec-9904-ef3b86729896.shtml): un buon educatore non appende il quadro all’altezza del bambino – deturpando una casa – ma lo appende dove è giusto, dove sta bene, e insegna al bambino a usare la sedia per sollevarsi e guardarlo dal punto di vista più adeguato. E invece oggi la scuola ha scelto la via più facile, ha abbassato gli obiettivi. Così, però, non insegna più, tarpa le ali e i sogni. E non è giusto, Don Milani avrebbe disprezzato questo tipo di scuola che lascia indietro proprio chi pretenderebbe di includere: se per includere smetto di insegnare, finisco con l’escludere. Depoliticizziamo l’analisi: chi può davvero dire di essere soddisfatto da questo sistema di istruzione?

La scuola non riesce più a insegnare. E le speranze riposte nel digitale, nelle avanguardie didattiche e nelle seduzioni della gamification si sono rivelate false illusioni, se non errori: gli studenti saranno anche bravissimi a svolgere un questionario Kahoot, ma quando scrivono un tema sono in difficoltà. Da anni chi insegna lo constata. Il cammino è sempre da ricominciare…

P. Mastrocola- L. Ricolfi, "Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza", La nave di Teseo.

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