Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

sabato 2 giugno 2018

LO SCONOSCIUTO

Lo sconosciuto fa parte del romanzo di Irène Némirovsky Suite française: una storia ambientata negli anni dell'occupazione nazista della Francia, il racconto dell'esodo della gente, dell'orrore della guerra.
Lo sconosciuto è un testo brevissimo, ma penetrante.
Era una notte tra le più miti del 1940, scrive l'autrice, e i rifugiati dal Belgio, dal Lussemburgo, dall'Olanda si raccolgono nel Nord della Francia, in una stazione con le vetrate dipinte di blu e le lampade velate perché non sia riconoscibile dagli aerei nemici. Questo luogo è il regno del caos: gente ammucchiata e cose ammassate, persone addormentate a terra, orari ferroviari stravolti, folla agitata.
Eppure, in questo disordine, due fratelli si incontrano, si ritrovano: una licenza li aveva riuniti per il matrimonio della sorella. Claude, il maggiore, ha moglie e figli e non sa se potrà riabbracciarli alla fine della guerra; François, più giovane e audace, invece, è contento di andare a combattere, annoiato dal fatto che, di stanza al Nord, ha potuto incontrare solo due avversari; la noia e il freddo.
Claude ha un volto scuro, ombroso; il fratello addebita la sua tristezza alla preoccupazione per la famiglia, al timore di morire in guerra. Invece Claude spiega che gli è accaduto qualcosa di strano: ha ucciso un giovane tedesco. Però, si sa, è la guerra, non è questo che lo sconvolge; certo, non aveva mai ucciso nessuno prima, ma è sempre stato preparato a questa possibilità, dovendo combattere al fronte. Il fatto è che di questo soldato nazista lo ha colpito il mento: il suo piccolo mento aguzzo, scavato da una fossetta, uguale al suo, con qualcosa di familiare.
Claude fruga tra le tasche del ragazzo morto. Non lo fa per sciacallaggio, ma, anzi, per senso di responsabilità, per avere informazioni su di lui e avvisare i parenti: foto della fidanzata, lettere, una fotografia del padre e della madre. A questo punto una rivelazione epifanica e un sospetto inquietante si fanno strada in Claude: le cicatrici sulla mano sinistra del padre del ragazzo e sul suo volto sono ben visibili nella foto e costituiscono un indizio forte: la somiglianza non tradisce, le ferite sono le stesse che anche il padre di Claude e François aveva riportato in guerra. La scoperta è sconvolgente e Claude la comunica subito al fratello, ora, nel caos della stazione, emblema della confusione che la guerra, le guerre, portano nelle vite umane. Questa è la ricostruzione dei fatti cui giungono i due soldati: il padre che loro in passato avevano sempre ritenuto morto, disperso il 27 maggio 1917, era invece sopravvissuto alla guerra e aveva formato un'altra famiglia e quel ragazzo tedesco ucciso da Claude si chiamava Franz, versione tedesca del nome François, come attesta la dedica sulla foto, recante la data del 1925. Il loro fratello minore, figlio dello stesso padre, battezzato con lo stesso nome di François, è stato ucciso da Claude.
Una storia incredibile che ha al centro della narrazione un fratricidio: una vicenda che si ripete dai tempi di Caino e Abele, Eteocle e Polinice.
La Némirosky va in fondo al dramma. Sembra di rileggere il racconto sallustiano della battaglia finale a Pistoia, tra i Catilinari e l'esercito regolare dei romani: molti, poi, che erano usciti dall'accampamento per visitare il campo di battaglia (...), rivoltando i cadaveri dei nemici, trovavano che un amico, chi un ospite, chi un parente. Irène Némirovsky dà voce all'insensatezza della guerra. Lo farà anche Pavese nel romanzo La casa in collina: ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l’ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui (...). Ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.
Commentando il racconto della Némirovsky, Jean Louis Ska - gesuita belga tra i maggiori esegeti contemporanei - nota che l'autrice ha voluto dare un valore emblematico al suo racconto: il nemico che uno si trova di fronte è nientemeno che un fratello. (...) Gli uomini sono fratelli e sono le circostanze o i discorsi ideologici che li trasformano in nemici.
Irène Némirovsky affida alle parole di François il senso del suo breve racconto: non ci si pensa mai, (...) ma con i quattro anni dell'altra guerra, l'invasione, poi le nostra truppe sule Reno, dei fratelli hanno dovuto già trovarsi gli uni contro gli altri in campi nemici.
Ska conclude la sua interpretazione del racconto Lo sconosciuto con un aneddoto risalente alla prima guerra mondiale: un giovane soldato austriaco, ricevuto l'ordine di sparare all'esercito nemico, si rifiutò e buttò a terra il fucile, dicendo perentoriamente: no, ci sono uomini lì davanti. Chiaramente fu giustiziato per il suo eroico rifiuto della guerra. Ska si chiede, interpellando il lettore: e se, da entrambe le parti, tutti avessero avuto la stessa reazione? Ovvio: la guerra sarebbe finita, non ci sarebbero stati milioni di morti tra soldati e civili.
In guerra non ci sono vincitori e vinti: si è sempre perdenti di fronte alla violenza. A rimetterci è l'umanità.

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