Leggere vuol dire...

Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. [...] La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri.
(V. Alfieri, "Del principe e delle lettere", 1786)

giovedì 11 gennaio 2018

L'ISOLA DI ARTURO

“Il primo segreto essenziale…”

NeI romanzo L’isola di Arturo Elsa Morante ci interroga in modo netto: che cos’è un’isola?
Si tratta di un’immagine che evoca luoghi incantevoli, spiagge, sole, mare, cieli stellati.
È un simbolo che spiega situazioni interiori che oscillano dal bisogno di rifugio nel microcosmo delle sicurezze affettive e familiari, al senso di isolamento e di distacco dal mondo.
Descrive in modo puntiforme un inizio, un tempo che fu.

La Morante, nella poesia che precede L’isola di Arturo, scrive: quella, che tu credevi un piccolo punto della terra,/ fu tutto.
Procida, l’isola in cui è ambientata la trama del romanzo, non è solo un dato geografico, è un luogo dell’anima, è la stagione della fanciullezza che necessariamente deve passare, è un mondo che nel cuore non ci abbandonerà mai e che con nostalgia vorremmo riconquistare. È un posto, un tempo, un’età da cui ognuno vuol fuggire, finché l’attraversa,  spinto da un’irrefrenabile ansia di crescere, per poi scoprire che fuori del limbo non v’è eliso, scrive ancora l’autrice nei versi posti in epigrafe al romanzo.
Lasciare l’infanzia significa recidere le favole, le speranze, le illusioni e con amarezza prendere atto della realtà. Quello stato di sospensione - un limbo, appunto - in cui non si è più bambini e non ancora uomini, appare agli occhi di chi è diventato adulto uno stato beato. Uscirne non coincide con l’eliso, con il Paradiso.

È questo il punto. Indietro non si torna. Il passato è destinato al tramonto, è una dimensione ferma, remota.
Però, d’altra parte, di quel passato noi siamo imbevuti, ci passa nella vene, scorre con il nostro sangue. Senza quella stagione non saremmo quello che siamo.
Allo sguardo di Arturo che sul piroscafo lascia l’isola, il mondo dell’infanzia si sfuma con un dolore che  – commenta il ragazzo – mi si faceva più acerbo per questo motivo: perché sentivo che esso era una cosa fanciullesca. (p. 376)
Un novenario chiude il romanzo: L’isola non si vedeva più.

Per la Morante, l’uscita dalla fanciullezza e il tramonto delle speranze non sono certo una conquista: allontanarsi dall’isola è un passaggio necessario e naturale, ma non è detto che i nuovi approdi rappresentino il meglio. Fuori del limbo non v’è eliso.
Il mondo adulto, quello civile e progredito, che prende le distanze dalla spontanea, forse impulsiva, autenticità del passato, è infelice, è abitato dagli Infelici Molti, troppo affaccendati a fabbricare trafficare istituire organizzare classificare, propagandare. Così scrive Elsa Morante nella Canzone degli F.P. e degli I. M., dove F.P. sta per “felici pochi” e I.M. si riferisce agli “infelici molti”.
Gli Infelici Molti non sanno più giocare, non guardano il mondo con la curiosità che sa stupirsi. Non hanno gli occhi allenati a scoprire la bellezza, non hanno il coraggio di sentire la meraviglia.
Alla loro tristezza Elsa Morante, ancora nella Canzone degli F.P. e degli I. M, oppone quell’unica eterna scaramanzia: l’allegria, la sola forza dei “felici pochi”, quella che regnava nell’isola di Arturo - prima della partenza del giovane protagonista - la vera energia in grado di contrastare l’ansia distruttiva dei cinici rottamatori che hanno liquidato la tradizione e perciò sono incapaci di dare forma al futuro.
L’isola di Arturo è il sogno che ti spinge a cercare la felicità anche se il mondo intorno, con la sua mentalità calcolante e i suoi progetti ben confezionati ma pronti a scadere, ti dice che esiste solo il presente, che la vita è questa, che tanto è inutile, non vale la pena.
Forse il primo segreto essenziale
della felicità si potrebbe ancora ritrovare.
L’importante sarebbe di rimettersi a cercare.
(E. Morante, Canzone degli F.P. e degli I. M, in Il mondo salvato dai ragazzini)



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