Un giorno questo dolore ti sarà utile
Genitori divorziati, adolescenza fatta di incertezza e solitudine, identità imprecisa, sedute con la psicanalista. Solido è solo il rapporto con la nonna. Per scherzo James inventa un profilo inesistente per sedurre John, il gallerista gay che lavora con la madre. Sa di mentire, soffre quando John si accorge dell’inganno e si sente preso in giro. James viene licenziato dalla galleria della madre e si confida con la nonna, l’unica che abbia per lui attenzione e ascolto. Le parole della nonna lo sorprendono: spesso le persone si comportano in modo stupido quando c’è di mezzo l’amore. (186). La parola “amore” da lei pronunciata apre il varco nel cuore del giovane James: lui non le ha mai parlato dei suoi sentimenti, della sua omosessualità: non le avevo mai detto di essere gay o etero, non le avevo mai parlato di niente che avesse a che fare con questo genere di cose. Ancora, più esplicita che mai, la nonna lo libera dal fardello della sua esistenza: Non puoi passare tutta la vita a far contenti i tuoi genitori (188). La conversazione con l’anziana donna si rivela epifanica, manifesta al giovane la necessità di essere se stesso, qualunque sia il suo modo di essere; è un invito a cercarsi e a scoprirsi, libero da paure, inibizioni e pregiudizi. A volte le brutte esperienze aiutano (190), continua la donna, i brutti momenti sono un dono, occasioni per mettersi in gioco, per sfidarsi e conoscersi: godersi i momenti felici è facile, è scontato. Dare un senso a quelli brutti è da eroi.
Alla fine del dialogo-epifania la nonna fa la cosa più naturale eppure più profonda che un vecchio possa fare a un giovane, lascia a James tutte le sue cose: la casa sarà venduta, ma quello che c’è dentro è tuo (…). Volevo (…) che sapessi quanto è importante per me che sia tu a decidere cosa fare delle mie cose.
Non si tratta solo di ereditarle, di custodirle come reliquie preziose, di saperle tenere. Sono solo oggetti, non hanno nessun significato. Tieni solo quello che ti serve. Questo è un testamento morale, è un invito ad essere artefice della propria vita e del proprio destino, è l’investitura ad essere adulto, ad uscire dall’infanzia. Crescere significa proprio questo: cercare fra le cose, scegliere quelle utili a vivere, imparare a selezionare, affinché alle domande che James si pone in excipit – Come faccio a sapere cosa vorrò nella vita? Come faccio a sapere cosa mi servirà? - possa esserci risposta.
Cercare un senso alla vita ed essere se stessi non è mai un atto di liquidazione del passato, delle esperienze svolte, dei dolori provati e delle gioie sentite: tutto si sedimenta, niente si oblia.
Lo stigma non è tanto quello sociale, non è la diversità, l'etichetta, che gli altri impongono: lo stigma peggiore è l’ignoranza di sé, la paura di conoscersi e il terrore di non accettarsi. Famiglia, società, religione sono le gabbie dell’identità. Però il silenzio, il rifiuto della comunicazione e il solipsismo sono forme - peggiori – di autocensura. Persino gli errori salvano: tradire John e la sua fiducia, costruire un profilo falso su internet è un inganno, è una menzogna, ma è un’azione che libera James dalla sua paralisi emotiva. È l’inizio di un’apertura possibile, è un varco verso l’autocoscienza che passa anche attraverso il dolore e il pentimento. E che nasconde un infinito bisogno d’amore. Ovidio scriveva, e Cameron lo riporta all'inizio del suo romanzo: dolor hic tibi proderit olim.
Sta a noi saper ricostruire le fila della nostra vicenda umana in cui tutto ha un senso, anche se accade per caso, anche se procura dolore.
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