martedì 26 luglio 2016

Acciaio

SILVIA AVALLONE

Acciaio

Quella tra Anna e Francesca è un’amicizia profonda, confusa con l’amore e fatta di gelosie. È un rapporto che non esclude il gioco erotico ed esibizionistico con l’altro sesso, in un disorientamento che può abitare nella psiche degli adolescenti, ancora in formazione.

Nella Piombino di Avallone, gli operai oltre a lavorare, sniffano coca, corrono all’impazzata con moto rombanti, sognano macchine sportive e lo sballo in discoteca.

Anna e Francesca sono oppresse, l’una da un padre irresponsabile, convinto che "lavorare stanca", l’altra da un genitore violento e possessivo.

Sognano la fuga: la “Toremar” … e via.

Tre sono gli elementi simbolici che strutturano Acciaio:

- la fabbrica

- il mare

- i casermoni di via Stalingrado.

La fabbrica, la Lucchetti, è vita e morte insieme: sostiene economicamente Piombino, dà lavoro agli operai. Eppure è morte, non solo perché funestata da gravi incidenti sul lavoro, ma anche perché è proprio “la fabbrica della morte” dove migliaia di piccoli uomini in tuta fondevano ferro e carbonio, acciaio e ghisa per fare le rotaie, i bastimenti, le armi d’Europa e degli Stati Uniti: le acciaierie di Piombino sostengono le guerre del mondo.

Il mare con il suo orizzonte lontano e dilatabile è la speranza, il futuro, la prospettiva verso la libertà.E infatti le giovani protagoniste si imbarcano verso l’Elba, scelgono il mare, l’avventura, la sfida alle poche e amare certezze della terraferma. Scelgono il viaggio verso la libertà.

I casermoni di via Stalingrado sono la stagnante quotidianità, l’ingabbiante dimensione familiare, l’immobilismo di una vita sempre uguale, in cui l’alternativa fatta di sesso, droga e sballo è l’unica possibile, ma non è quella degna di essere chiamata meta.Scrive l'autrice: l’afa ristagnava dentro i casermoni, s’insediava in ogni appartamento e lo trasformava in palude.
Contrariamente al nome evocativo di una dimensione sovietico-rivoluzionaria, i casermoni di via Stalingrado sono sinonimo di inerzia spirituale.

La mancanza di mete ideali e di spinte propulsive per raggiungerle, caratterizza questa umanità fragile. A questo proposito, Sandra, madre di Anna, afflitta dall’irresponsabile marito Arturo, che si è fatto licenziare ed è trafficante d’arte, riflette sul presente, notando una profonda differenza con lo spessore ideale delle generazioni passate. Le venne in mente suo padre: un uomo medagliato dal Presidente della Repubblica, un eroe della Resistenza, uno che aveva lavorato per tutta una vita, che ci aveva perso una gamba nella fabbrica dove suo marito era stato licenziato.

Il passato si è retto su forti valori: sacrificio, dedizione al lavoro, senso di responsabilità, capacità e forza di lottare in nome di un ideale, desiderio di partecipazione alla Storia. L’umanità di Acciaio, invece, è periferica rispetto alla Storia, che non sembra toccarla: in un bar si assiste per televisione al crollo delle Torri Gemelle, mentre continuano la vita di sempre, la chiacchiera, la noia.

Sandra fa poi un catalogo di azioni e di scelte. 

Ci sono cose che non decidi tu, che decide il Capitalismo mondiale, la Storia delle Nazioni, la Repubblica Italiana al posto tuoSi tratta di una riflessione che sottolinea la marginalità dell’individuo rispetto alle istituzioni e alla Storia, come se il soggetto non fosse parte di un tutto e non potesse opporsi al fluire degli eventi.

E poi ci sono le cose che decidi tu … fare il ladro o l’operaio … votare x o y, leggere “La Repubblica” o guardare un reality show. La sfera dell’autodeterminazione, il potere decisionale dell’individuo è relegato, in forma riduttiva e semplicistica, a due sole opzioni contrapposte che riguardano l’etica, la politica, la cultura; sono indicate soluzioni già date, positive/negative, catalogate nel duplice binario bene/male, senza sfumature, con conseguente restrizione del campo delle possibilità della scelta e con esclusione della ricerca che implica, invece, errori, esperienze, sfide, avventure, risultati, tappe.

Infine, dice Sandra, ci sono le cose che non decide nessuno; e sono quelle che riguardano l’inspiegabile sfera degli affetti e dei sentimenti, per cui si ama senza ragione, si giustifica senza correggere, si sopporta senza discutere, per non modificare niente.

Il romanzo descrive una società che non aspira a niente, si lascia vivere, sceglie una trasgressione in realtà conformistica (lo sballo), è immersa in una quotidianità che si ripete all’infinito.

… Non cambia mai un cazzo in questo posto, non cambia la gente, non cambia la fabbrica che frantuma le palle alla gente … 

E allora le alternative sono la morte oppure la fuga, la partenza, il viaggio, al quale manca, però, la meta, il sostegno ideale, la bussola che lo orienti, l’obiettivo verso un approdo, non quello geografico dell’Elba, dove si dirigono Anna e Francesca, ma quello ideale della vita. Resta saldo, però, il valore dell’amicizia: dopo le incomprensioni, Anna e Francesca recuperano il loro rapporto.

Ma resta anche un dubbio: la chiusura nel privato, nell’amicizia, negli affetti non significa forse, rinunciare all’azione, non avere proposte, abdicare a un ruolo attivo nella società, creare una barriera tra l’io e il mondo? Se un romanzo che pure affronta temi scottanti come gli incidenti sul lavoro e l’alienazione della società industriale, si chiude con il trionfo del privato e cita Pascoli, vate della poetica del nido e modello di asocialità, può ancora la letteratura rivendicare un ruolo o deve ammettere di essere un mero osservatorio? 



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