martedì 2 luglio 2024

ENRICO GALIANO - UNA VITA NON BASTA

 

I'm in love / with my future.

(…)

Just wanna get to know myself.

B. Eilish, My future

 

Una vita non basta è il racconto delle incertezze dell’adolescente Teo, deluso dalla scuola che lo boccia, impacciato nelle relazioni con le ragazze, incompreso dalla sua famiglia complicata. Fanno da sfondo a questo libro i frequenti riferimenti ai romanzi di S. King – di cui Teo è un vorace lettore – e la musica di B. Eilish, che nel testo di My future sintetizza le ansie di una generazione di giovanissimi sopraffatti da un presente ingombrante, proiettati ansiosamente verso il futuro e in cerca di sé stessi.

Una vita non basta descrive lo smarrimento che travolge i giovani, ma ha un forte impianto propositivo: è un romanzo sulla solitudine e sui modi per superarla, analizza le tensioni relazionali, ma anche le possibilità concrete di (ri)costruire legami nonostante le barriere che la vita innalza, scruta i silenzi che ci separano, però nello stesso tempo suggerisce una via d’uscita dall’afasia nella capacità di restituire valore alla parola, al dialogo.

Incontro, parola, cura sono i tre concetti-chiave su cui Galiano punta per costruire un libro in grado di far virare la letteratura italiana contemporanea dal naufragio postmoderno verso la proposta di un senso possibile, nonostante il caos della Storia, delle nostre storie. Come scriveva Calvino, non si tratta di negare il labirinto, ma di sfidarlo.

Di fronte alla caduta delle solide verità, la letteratura ha risposto finora con il racconto di grandi disorientamenti, di insuperabili solitudini, dell’incomunicabilità senza riparazione.

Dalla lontananza affettiva dei verghiani Gesualdo Motta e Isabella, al solipsismo dei personaggi pirandelliani, dal bacio impossibile tra Gli amanti di Magritte, all’incontro mancato tra Baudelaire e la sua memorabile passante dalla bellezza fuggitiva, fulminea e inafferrabile, fino alla ben nota solitudine dei numeri primi, l’incontro con l’altro difficilmente ha superato lo stadio del conato, del tentativo, del passo frenato e abbiamo assistito di fatto alla sua evaporazione piuttosto che alla sua realizzazione.

Anche laddove l’incontro sia riuscito a trovare una strada (N. Ammaniti, Io e te), raramente è diventato – per circostanze certo non riconducibili alla volontà dei protagonisti – un rapporto concreto, è rimasto piuttosto un’epifanica rivelazione, un illuminante suggerimento su possibili alternative alle prospettive consolidate, ma rimane comunque un incontro che finisce. Non ha futuro. Forse lascia un segno, ma non dura nel tempo. E quello che resta al lettore, dell’incontro, è solo il bisogno, la triste conseguenza della sua mancanza, la nostalgia per un vuoto non colmato.

E invece, con una storia apparentemente semplice, vicina al vissuto quotidiano di molti adolescenti,  Galiano inverte la rotta.

In Una vita non basta non solo l’incontro è possibile, ma diventa il vero protagonista della vicenda narrata, si realizza, e con la sua forza costruttiva è in grado di imprimere una svolta decisiva alla vita di Teo.

L’incontro che costituisce il fulcro del romanzo, avviene in un parco pubblico tra il giovane Teo - addetto a lavori di pulizia socialmente utili per effetto di una sanzione disciplinare - e il professor Bove, un uomo dal passato oscuro, misterioso, certamente doloroso.

Tra coinvolgenti conversazioni e dialoghi di stampo maieutico, in perfetto stile socratico, il giovane Teo è gradualmente condotto dal prof. Bove alla scoperta di sé.

Nell’era del dominio tecnologico che non risparmia neanche la scuola, Bove riesce a tener desta l’attenzione di Teo con strumenti infallibili e intramontabili: la parola, l’ascolto, il confronto, il dialogo. Attraverso l’esempio di Bove, Galiano dimostra chiaramente che senza le parole, la lezione è vuota, come scrive G. Zagrebelsky non suo agile saggio La lezione.

C’è nello stile di Galiano una sensibile impronta classica, che non si limita ai miti che Bove attualizza nelle sue anticonvenzionali conversazioni con Teo. La didattica di Bove è una vera e propria sintesi del socratismo, racchiude l’essenza del percorso che ognuno di noi dovrebbe compiere – come recentemente ha dimostrato Goleman nello studio da lui condotto sull’intelligenza emotiva degli esseri umani – per la costruzione del proprio rapporto con la vita e con gli altri. I punti che Galiano nel suo libro affronta sono riassumibili in pochi, ma fondamentali imperativi:

-    - conosci te stesso, per imprimere alla vita la direzione che tu intendi darle;

- - ascolta il tuo daimon, quella cosa che ti urla dentro, che ha un potenziale enorme e che, se ben indirizzata, diventa fonte di creatività;

-   - vivi secondo misura, imparando a conoscere le tue capacità, i tuoi limiti, i sogni veramente tuoi, senza farti catturare da quelli spacciati da una società che adesca e distrugge;

 - non pretendere di avere sempre tutte le risposte: una vita non basta a trovarle...

Galiano attraverso Teo si rivolge al pubblico giovanile, invitandolo ad affrontare la vita con il coraggio che nasce dalla forza di affrontare anche i propri lati fragili. L’esortazione è quella di abbandonare l’abitudine a volare basso per paura di cadere, di non adattarsi mai alle sirene del quieto vivere, di non aver timore, dunque, di nutrire sogni, di impegnarsi a realizzarli, anche se questo implicherà il rischio di errori o insuccessi.

Galiano, però, dando vita al personaggio di Bove, si rivolge anche a un pubblico di adulti, ai genitori, ai docenti, a coloro che hanno responsabilità educative e compie un’azione di coraggiosa emancipazione dal mito didattico del mentore carismatico, sul modello del prof. Keating, protagonista del noto film americano L’attimo fuggente.

Bove è l’evoluzione di Keating, rappresenta il suo volto migliore: liberato dal narcisismo che attraverso il motto “capitano, mio capitano”, trovava in Keating una perfetta incarnazione, Bove è invece un uomo che ha fatto dei propri errori un’occasione di crescita, di presa di coscienza. Bove con la sua vita dimostra che la saggezza si conquista sbagliando.

Keating si è spinto dove non doveva, troppo oltre: ha alterato in giovani ancora impreparati alla vita, equilibri fragili e instabili, ha finito con l’avere sulla coscienza il suicidio di uno studente, ha forse generato in lui l’ansia di raggiungere la meta, privandolo così del piacere del viaggio. Bove, invece, sa bene che un docente può trasformarsi nell’inferno per qualcuno se con le sue parole non calibrate si spinge verso limiti che non vanno valicati. È perfettamente consapevole del fatto che insegnare è un terreno scivoloso e che il confine tra carisma e manipolazione è sempre molto labile. Keating probabilmente questo confine l’ha oltrepassato, infondendo nei suoi studenti una vorace ansia di esperienze senza fornire loro i mezzi per la gradualità necessaria a viverle. Bove, al contrario, ha saputo individuare la giusta misura, insegnando al suo Teo, sulla scia di Orazio, che la vita è un eterno ritmo tra salite e discese: non, si male nunc, et olim sic erit,  "se adesso va male non sarà così anche in futuro". E diversamente da Keating, per Bove carpe diem non vuol dire premere l’acceleratore sulla vita, ma saper eternare quell’attimo che davvero conta.

Attraverso il personaggio di Bove, Galiano restituisce alla figura del docente la funzione di Maestro: in quel venite con me che rivolge agli studenti, nella sua scuola a cielo aperto, senza voti e senza registri, Bove dimostra che nella parola c’è qualcosa di salvifico che nessuna Intelligenza Artificiale o sofisticata, avanguardistica, tecnologia didattica potrà mai riprodurre. Cristo, che con la parola si è sempre identificato, con il suo venite con me ha incoraggiato i discepoli a usare la parola per curare anime, lenire dolori, riscattare quanto di umano c’è nella vita.

La parola è cura dell’Altro, con la parola si costruiscono i legami di humanitas su cui si reggono le democrazie migliori, perché, scrive Galiano, non esiste persona senza il sostegno di un’altra persona. Lo diceva anche Terenzio nel I secolo a. C.: homo sum, humani nihil a me alienum puto, “sono un essere umano, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me”. In fondo la scuola proprio questo deve insegnare.

                        Teresa D'Errico 

(Cfr.: https://www.glistatigenerali.com/letteratura/enrico-galiano-una-vita-non-basta/)