Computer, smartphone, tablet: Maurizio Ferraris, nel suo piacevole saggio "Mobilitazione totale", li chiama ARMI, acronimo per Apparecchi di Registrazione e Mobilitazione dell’Intenzionalità. Un messaggio whatsapp, una e-mail notturna sono un diktat che obbliga moralmente a una risposta: la doppia spunta azzurra su whatsapp rivela che il destinatario ha letto il messaggio e a questo punto rispondere è doveroso.
Si tratta di una vera e propria chiamata alle ARMI, ne consegue una mobilitazione quasi militare: milioni di utenti si trasformano in militi pronti a rispondere al comando. È un nuovo imperativo categorico quello che mi spinge a rispondere a qualunque ora del giorno o della notte a un messaggio whatsapp o a una mail di lavoro che turba la mia quiete domestica e, senza più distinzione tra pubblico e privato, io sono travolto dall’indistinto magma del flusso dei comandi digitali.
Se pensiamo alla dimensione del lavoro – perché le mail più inquietanti sono proprio quelle dei datori di lavoro che come abili stalker disturbano la vita quotidiana, obbligando a forme di attenzione del tutto extracontrattuali - va detto che ogni tipo di risposta, più o meno articolata, ha luogo fuori dall’orario di servizio, non è contabilizzata come lavoro, non è retribuita. È la nuova frontiera dello sfruttamento: la dilatazione spazio-temporale senza limiti della propria prestazione.
Lo scenario si aggrava se, poi, si considera che le operazioni svolte a titolo gratuito, le interazioni sui social network generano un plusvalore assoluto. I mobilitati (gli inconsapevoli utenti) mettono, infatti, costantemente a disposizione il loro lavoro (ore di connessione per rispondere a mail, post, messaggi) e mezzi di produzione (computer, contratti con gestori telefonici, energia elettrica, cavi di connessione) e l’apparato tecnologico trae vantaggi economici (pubblicità sui social media, l’accumulo archiviale di dati degli utenti, una base sconfinata di conoscenza).
E Ferraris sottolinea che non basta voler restare “sconnessi”, non è sufficiente la volontà: l’intenzionalità è condizionata irrimediabilmente da sollecitazioni esterne, da imposizioni sociali che annientano l’umanità. Siamo di fronte al tramonto definitivo del socratismo come primato della coscienza e del kantismo come autonomia morale: Ferraris nota che è in atto il primato del sociale, della sollecitazione esterna. Insomma, sulla nostra azione prevale la “chiamata” esterna piuttosto che la spinta interiore. Come in una mobilitazione militare, agiamo anche se non vogliamo, ci sentiamo responsabilizzati, obbligati a rispondere a un messaggio/mail, anche nel cuore della notte di un magico weekend.
Ne deriva un a vera e propria “sociodipendenza”, aggravata dal fatto che il web non solo mobilita richiedendo una risposta alla chiamata, ma, soprattutto, registra: ciò che è impresso sul web è un documento indelebile, una memoria incancellabile, certo, frammentata e confusa, acritica e non storicizzabile nel mare magnum dei dati che i nuovi media collezionano; ma c’è, resta.
Ebbene, la chiamata alle ARMI e le infinite registrazioni di dati che danno vita a un apparato potentissimo che sa tutto di noi e di cui noi, invece, ignoriamo ogni cosa, ci condizionano: a livello intenzionale, perché, in fondo, comunque, rispondiamo; a livello economico, perché mettiamo a disposizione il nostro lavoro, la nostra energia elettrica, il nostro computer, il nostro tablet; a livello antropologico, perché, siamo dipendenti, ormai, dal web, per studiare, lavorare, comprare; a livello psicologico, perché l’intenzionalità della nostra azione è fortemente eterodiretta.
La soluzione che propone Ferraris a questo stato di cose è, però, piuttosto riduttiva e semplicistica rispetto ai tratti profondamente critici della sua analisi. Il web è per lui, comunque, un progresso, basta solo umanizzarlo e usarlo come strumento di diffusione culturale. Il web è la traccia definitiva di una società alfabetizzata, che è sempre meglio di una società analfabeta: in fondo, con tono ironico e volto a minimizzare il problema, Ferraris nota che se rispondiamo a qualche mail nel cuore della notte interrompendo il nostro sonno, è perché non stiamo partecipando a un rogo di streghe!
Insomma, come dire: adattiamoci all’irreversibilità del progresso.
Verga la definiva la “fiumana del progresso”: un’ondata irrefrenabile che, sì, certamente giunge a riva, ma travolge: Verga lo sapeva. E noi?
La conseguenza più grave di questa realtà è la dilatazione estrema e senza confini dello spazio digitale in cui lo spirito soggettivo incontra solo se stesso. Nelle antiche guerre le ARMI uccidevano l’altro, che però, se era fortunato, poteva difendersi e sopravvivere; ora le reti digitali aprono uno scenario nuovo e irreversibile: “l’espulsione dell’altro”. E nel regno della solitudine che il progresso tecnologico ha abilmente costruito, Windows è una finestra senza sguardo. (Byung-Chul Han, L’espulsione dell’altro).
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domenica 17 dicembre 2017
sabato 9 dicembre 2017
L'INNOMINABILE ATTUALE
ROBERTO CALASSO, L'INNOMINABILE ATTUALE
L'età contemporanea è lo scenario di una mutazione antropologica: il passaggio dall'homo sapiens all'homo saecularis, che ha sostituito la conoscenza con l'informazione e ha espulso dai suoi orizzonti esistenziali il senso del divino; ha sacralizzato la società stessa, diventata l'ultimo quadro di riferimento per ogni significato.
La società - nota Calasso - ha perso la capacità di guardare oltre se stessa e ha dato vita al culto di sé: il culto della società divinizzata.
L'autore si chiede, tuttavia, se davvero il soggetto secolare riesca ad appagarsi della cancellazione dell'invisibile e in che modo, dunque, possa placare quell'ansia di ricerca verso la realizzazione di un ordine del mondo, che è il fine ultimo di ogni istanza religiosa.
Secondo Calasso la soluzione è venuta dalla "religione dei dati", quelli non estorti da poteri politici totalitari, ma spontaneamente forniti dal basso ad opera di innumerevoli individui. E questa è, a ben guardare, una nuova maniera per esercitare il controllo sulle coscienze, più forte di ogni Chiesa, più capillare di qualsiasi forza politica, di qualunque forma di controllo sociale. Ogni dato è registrato, tutto è digitabile e, perciò, manipolabile.
Come ogni religione, anche il culto della società divinizzata ha i suoi fondamenti, i suoi precetti, le sue norme: per l'homo saecularis la normalità ha preso il posto della norma.
In effetti, ciò spiegherebbe, l'ansia di normalizzazione che oggi tende a diluire ogni forma di diversità, dai matrimoni gay, all'omologazione dei canoni di bellezza ottenuti tramite la chirurgia estrema, all'uniformità delle mode.
E se la religione è fatta di riti, così l'homo saecularis ha le sue procedure, che hanno sostituito i rituali, solo che vanno nella direzione opposta a questi ultimi. Il rituale apre la coscienza al mistero della fede, che, per esempio, nel Cristianesimo, culmina nella transustansazione. Invece la procedura abbatte ogni fede, tende al totale automatismo di atti meccanici di registrazione finalizzati a operazioni informatiche, bancarie, scolastiche che fanno capo sempre e comunque al Big Data.
Se si abbatte il senso religioso, però, che cosa resta dell'umano bisogno di spiritualità?
Calasso individua due fenomeni in atto: proliferano le sette e cresce la dedizione a un ente non trascendente, ma genericamente definito come "umanità", di cui l'homo saecularis auspica la perenne prosperità. Si tratta di un culto in grado di accogliere indistintamente tutte le religioni e sette di ogni genere, perché si è sbarazzato della fede nel senso tradizionale del termine, ciò come attenzione rivolta a un'entità trascendente. Oggi la sola fede ammessa dall'homo saecularis è quella nella scienza e nei suoi strumenti tecnologici: le altre religioni sono solo un fenomeno sociale come tanti altri e perciò tali da essere incorporate e inglobate nel più ampio culto della società divinizzata. E il rituale di questa religione secolarizzata è la ripetizione che ribadisce l'esistente: pubblicità che si insinua in modo martellante nel mondo psichico degli individui, autoesposizione spontanea e reiterata sui social media.
E se le antiche religioni si costruivano anche attorno a viaggi redentivi compiuti da devoti pellegrini, oggi il secolarismo ha i suoi turisti che si muovono nel mare magnum del cyberspazio, navigano in rete, percorrono una realtà aumentata.
E la nuova Bibbia, il testo sacro del secolarismo, è il digitale/digitabile. Tutto ciò che è digitabile, infatti, diventa digitale: si tratta di una dimensione iperenciclopedica, che contiene tutto, è un caos algoritmico che mescola informazioni veritiere a informazioni infondate. Il sapere perde prestigio a favore di un'infinita disponibilità informatica di dati. I Big Data amministrano coloro da cui hanno avuto origine, mescolano e rielaborano i dati che noi abbiamo spontaneamente fornito, un immenso materiale cui si applica il gioco combinatorio dell'algoritmo.
Cè, tuttavia, in questo processo, l'illusione della libertà: si chiama disintermediazione e consiste nell'impressione di agire in prima persona senza il fastidio di ricorrere a intermediari. Questo odio per la mediazione ci spinge ad agire da soli per prenotare una camera d'albergo e il biglietto per un viaggio o a vagheggiare una democrazia diretta, meglio se fondata sull'infatuazione informatica, che abbatte ogni passaggio, ogni mediazione, ogni attesa.
E la coscienza? Quale posto occupa la coscienza nel pensiero dei transumanisti, il cui approdo finale è la Singularity di Ray Kurzweil?
L'homo saecularis è transumanista perché affida alla tecnologia quell'ansia religiosa che però ha espulso dalla sua storia e perché tende verso il superamento dei confini della natura umana. La sua è la religione del Dataismo. Con un abile gioco di parole Calasso delinea la sostituzione del Dadaismo - dirompente movimento avanguardistico del Novecento che predicava la sconnessione universale e l'abrasione di ogni significato - con il Dataismo che vuole, invece, la connessione coatta di ogni individuo trasformato in soldatino agli ordini di un fantomatico Stato Maggiore non meglio identificato se non come Big Data.
Il senso è questo: registriamo e connettiamo la nostra esperienza al grande flusso di dati e gli algoritmi scopriranno il suo significato e ci diranno cosa fare.
E questo processo investirà anche la dimensione dei valori, dunque, della coscienza.
Si arriverà al punto in cui l'intelligenza artificiale sarà human compatible: attraverso un allineamento di valori la macchina/robot diventerà altruistica. Il robot diventerà superintelligente e capace di orientarsi tra i valori umani grazie a un sistema infallibile: LEGGENDO tutto ciò che la razza umana ha scritto e da cui sgorga il succo dei valori.
Questo è il punto di arrivo: Singularity, una teologia secolarizzata, che si risolve tutta dentro la società, procede attraverso i mezzi tecnologici, ha fede solo nell'umanità, attribuisce alle macchine anche il complesso dei valori umani, ma non sa che farsene di principi come grazia e libero arbitrio.
Gli scrittori hanno doti profetiche.
Come Baudelaire nel suo sogno visionario aveva previsto il crollo di un'immensa torre che poi la storia ha tragicamente conosciuto in forma persino raddoppiata, in quel famigerato 11 settembre 2001, così Calasso profetizza apocalitticamente, in un futuro non troppo lontano, la fine della società umana, l'unica in grado di autodistruggersi, paradossalmente in nome della religione del progresso e della felicità.
L'età contemporanea è lo scenario di una mutazione antropologica: il passaggio dall'homo sapiens all'homo saecularis, che ha sostituito la conoscenza con l'informazione e ha espulso dai suoi orizzonti esistenziali il senso del divino; ha sacralizzato la società stessa, diventata l'ultimo quadro di riferimento per ogni significato.
La società - nota Calasso - ha perso la capacità di guardare oltre se stessa e ha dato vita al culto di sé: il culto della società divinizzata.
L'autore si chiede, tuttavia, se davvero il soggetto secolare riesca ad appagarsi della cancellazione dell'invisibile e in che modo, dunque, possa placare quell'ansia di ricerca verso la realizzazione di un ordine del mondo, che è il fine ultimo di ogni istanza religiosa.
Secondo Calasso la soluzione è venuta dalla "religione dei dati", quelli non estorti da poteri politici totalitari, ma spontaneamente forniti dal basso ad opera di innumerevoli individui. E questa è, a ben guardare, una nuova maniera per esercitare il controllo sulle coscienze, più forte di ogni Chiesa, più capillare di qualsiasi forza politica, di qualunque forma di controllo sociale. Ogni dato è registrato, tutto è digitabile e, perciò, manipolabile.
Come ogni religione, anche il culto della società divinizzata ha i suoi fondamenti, i suoi precetti, le sue norme: per l'homo saecularis la normalità ha preso il posto della norma.
In effetti, ciò spiegherebbe, l'ansia di normalizzazione che oggi tende a diluire ogni forma di diversità, dai matrimoni gay, all'omologazione dei canoni di bellezza ottenuti tramite la chirurgia estrema, all'uniformità delle mode.
E se la religione è fatta di riti, così l'homo saecularis ha le sue procedure, che hanno sostituito i rituali, solo che vanno nella direzione opposta a questi ultimi. Il rituale apre la coscienza al mistero della fede, che, per esempio, nel Cristianesimo, culmina nella transustansazione. Invece la procedura abbatte ogni fede, tende al totale automatismo di atti meccanici di registrazione finalizzati a operazioni informatiche, bancarie, scolastiche che fanno capo sempre e comunque al Big Data.
Se si abbatte il senso religioso, però, che cosa resta dell'umano bisogno di spiritualità?
Calasso individua due fenomeni in atto: proliferano le sette e cresce la dedizione a un ente non trascendente, ma genericamente definito come "umanità", di cui l'homo saecularis auspica la perenne prosperità. Si tratta di un culto in grado di accogliere indistintamente tutte le religioni e sette di ogni genere, perché si è sbarazzato della fede nel senso tradizionale del termine, ciò come attenzione rivolta a un'entità trascendente. Oggi la sola fede ammessa dall'homo saecularis è quella nella scienza e nei suoi strumenti tecnologici: le altre religioni sono solo un fenomeno sociale come tanti altri e perciò tali da essere incorporate e inglobate nel più ampio culto della società divinizzata. E il rituale di questa religione secolarizzata è la ripetizione che ribadisce l'esistente: pubblicità che si insinua in modo martellante nel mondo psichico degli individui, autoesposizione spontanea e reiterata sui social media.
E se le antiche religioni si costruivano anche attorno a viaggi redentivi compiuti da devoti pellegrini, oggi il secolarismo ha i suoi turisti che si muovono nel mare magnum del cyberspazio, navigano in rete, percorrono una realtà aumentata.
E la nuova Bibbia, il testo sacro del secolarismo, è il digitale/digitabile. Tutto ciò che è digitabile, infatti, diventa digitale: si tratta di una dimensione iperenciclopedica, che contiene tutto, è un caos algoritmico che mescola informazioni veritiere a informazioni infondate. Il sapere perde prestigio a favore di un'infinita disponibilità informatica di dati. I Big Data amministrano coloro da cui hanno avuto origine, mescolano e rielaborano i dati che noi abbiamo spontaneamente fornito, un immenso materiale cui si applica il gioco combinatorio dell'algoritmo.
Cè, tuttavia, in questo processo, l'illusione della libertà: si chiama disintermediazione e consiste nell'impressione di agire in prima persona senza il fastidio di ricorrere a intermediari. Questo odio per la mediazione ci spinge ad agire da soli per prenotare una camera d'albergo e il biglietto per un viaggio o a vagheggiare una democrazia diretta, meglio se fondata sull'infatuazione informatica, che abbatte ogni passaggio, ogni mediazione, ogni attesa.
E la coscienza? Quale posto occupa la coscienza nel pensiero dei transumanisti, il cui approdo finale è la Singularity di Ray Kurzweil?
L'homo saecularis è transumanista perché affida alla tecnologia quell'ansia religiosa che però ha espulso dalla sua storia e perché tende verso il superamento dei confini della natura umana. La sua è la religione del Dataismo. Con un abile gioco di parole Calasso delinea la sostituzione del Dadaismo - dirompente movimento avanguardistico del Novecento che predicava la sconnessione universale e l'abrasione di ogni significato - con il Dataismo che vuole, invece, la connessione coatta di ogni individuo trasformato in soldatino agli ordini di un fantomatico Stato Maggiore non meglio identificato se non come Big Data.
Il senso è questo: registriamo e connettiamo la nostra esperienza al grande flusso di dati e gli algoritmi scopriranno il suo significato e ci diranno cosa fare.
E questo processo investirà anche la dimensione dei valori, dunque, della coscienza.
Si arriverà al punto in cui l'intelligenza artificiale sarà human compatible: attraverso un allineamento di valori la macchina/robot diventerà altruistica. Il robot diventerà superintelligente e capace di orientarsi tra i valori umani grazie a un sistema infallibile: LEGGENDO tutto ciò che la razza umana ha scritto e da cui sgorga il succo dei valori.
Questo è il punto di arrivo: Singularity, una teologia secolarizzata, che si risolve tutta dentro la società, procede attraverso i mezzi tecnologici, ha fede solo nell'umanità, attribuisce alle macchine anche il complesso dei valori umani, ma non sa che farsene di principi come grazia e libero arbitrio.
Gli scrittori hanno doti profetiche.
Come Baudelaire nel suo sogno visionario aveva previsto il crollo di un'immensa torre che poi la storia ha tragicamente conosciuto in forma persino raddoppiata, in quel famigerato 11 settembre 2001, così Calasso profetizza apocalitticamente, in un futuro non troppo lontano, la fine della società umana, l'unica in grado di autodistruggersi, paradossalmente in nome della religione del progresso e della felicità.