WALTER SITI, BRUCIARE TUTTO: QUALCHE
RIFLESSIONE
Al di là
delle polemiche di cui è stato oggetto, Bruciare
tutto pone quesiti ineludibili nella vita di ognuno: che cos’è il Bene? che
cos’è il Male?
Coppie che
si sgretolano, disperse tra violenza e tradimenti; sacerdoti che vivono more uxorio, incuranti del fatto che chi
sceglie il sacerdozio accetta anche il voto di castità; una diffusa povertà che
la sola generosità caritatevole di una Chiesa sociale non può risolvere; un
passato che riaffiora tormentando l’anima e inchiodandola a un incancellabile
peccato: questa è la realtà con cui deve fare i conti don Leo. Sospeso tra le
storture del mondo, le contraddizioni della Milano “da bere” e quelle della sua
anima, il giovane parroco sente fino in fondo il dramma della prossimità fra il
Bene e il Male. Il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, che Siti – per
sottolinearne la grandezza - definisce «faro di fermezza
nell’incubo della Germania nazista», scriveva: «chiunque agisce
responsabilmente diventa colpevole». Questa frase condensa il senso dell’intero
romanzo di Siti e del conflitto interiore di don Leo. Aggiunge, ancora, Siti: «chi assume la responsabilità si prende sulle
spalle le conseguenze della propria azione sugli altri». Insomma, fare il Bene non ti immunizza dal rischio di causare il
Male e, spesso, scegliere il male minore non esclude il pericolo di tragiche
conseguenze: «Dio ci scampi dal Satana
che si presenta sotto forma di buonsenso, o di “male minore”, o di “carità
ragionevole” … se la carità è amore, gli innamorati sanno che l’amore non è mai
ragionevole … la carità ragionevole è una contraddizione in termini, non è più
carità!».
L’uomo si trova in un vicolo cieco.
Il presente è un’avventura difficile,
soprattutto per un giovane sacerdote:
«“Non ci indurre in tentazione”: molti il Padre Nostro lo recitano
ancora così perché così l’hanno imparato da piccoli – “non abbandonarci alla
tentazione” è invece costretto a dire Leo secondo la nuova traduzione della
Cei, che invoca una fantomatica aderenza all’originale greco; ma “eisférein”
vuol dire “portare verso”, quindi proprio “inducere” come letteralmente ha
tradotto Gerolamo. Io lo so, Signore, ah se lo so che sei abbastanza malizioso
per metterci alla prova».
Il passato è un tormento, i ricordi di
azioni inconfessabili sono una persecuzione:
«Leo
picchia sui muri, si ferisce la nocche – la memoria è una bestia sleale: finge
di essere parte di noi, addirittura una nostra facoltà, e invece è un verme
solitario che decide da solo quando riaffacciarsi alla bocca dello stomaco.
Memoria involontaria, la chiamano, ma è al servizio di una volontà nemica; ti
colpisce quando sei meno preparato a difenderti, nei momenti di svago o di
genuina passione».
E la fatica compiuta per rimuovere gli
scomodi e inquietanti incubi che riemergono, si vanifica: «il lavoro di anni si sgretola in un lampo», Soprattutto quando il
passato si materializza e si fa vivo: allora diventa più forte la sofferenza ed
è inevitabile la costrizione a ricordare. L’inaspettato incontro con Massimo
richiama alla mente le vicende del 2003, l’anno in cui «le difese morali di Leo si erano già molto abbassate», un anno che
Leo incautamente ha ritenuto ormai
lontano.
Il desiderio, la tentazione, il
peccato - che in passato hanno attratto
lui, giovane seminarista, verso il giovanissimo Massimo - diventano ora un’ossessione
che convive con il rimorso, il senso di colpa, il richiamo di Dio: «se devo vivere contaminato da questa follia,
se sono bacato tarato guasto, profondamente e letteralmente irrecuperabile,
perché Dio mi cerca ancora?».
Non resta che la speranza in giorni
migliori. Quando gli viene affidato Andrea, un ragazzino «più intelligente della media», ma triste, difficile, figlio di
genitori immaturi e irresponsabili, Leo sente che può riscattarsi. E, invece,
si danna.
Certo, Leo fa la cosa giusta, rifiuta
le richieste di attenzione del piccolo Andrea, cerca di non alimentare la
confusione della sua infanzia fatta di solitudine e incertezza. Tuttavia, per
un perverso gioco della sorte, Leo sbaglia. Non pecca, lui, eppure non evita la
tragedia ad Andrea: «non ho avuto il
coraggio di donare la mia vita eterna per impedirti di morire. Ho considerato
la salvezza della mia miserabile anima più importante del tuo ancora aperto
futuro. Perdonami, dovevo accettare di fare l’amore con te, qualunque prezzo mi
fosse costato; l’ossessione avvicina a Dio mentre la morale ce ne allontana».
Su Bruciare
tutto aleggia lo spettro della pedofilia, l’ardimento della dedica a don
Milani ne ha acuito lo scandalo. Ma non sta in questo il senso del romanzo di Walter
Siti.
La vicenda del sacerdote Leo è, forse,
un caso estremo, che espone il lettore a una vicenda dagli effetti radicali. Non
è in questione - ma se ne è discusso –
se la letteratura possa o debba occuparsi di scandali e dare spazio
all’indicibile. Le posizioni sono svariate e inconciliabili, ognuna con le sue
ragioni.
Resta, invece, importantissimo il
dubbio con cui ci lascia Siti, attraverso le parole di don Leo: «la missione del cristiano non è fare il
bene, ma fare la volontà di Dio, e non è sempre detto che le due cose
coincidano: era bene per Abramo sgozzare il proprio figliolo? Ma poi, ci siamo
mai chiesti con che criteri valutiamo cos’è il bene? Ho paura che ormai, e
anch’io mi metto nel mucchio, definiamo “bene” quel che ci fa vivere tranquilli,
e “male” quel che ci disturba».
È questo il nucleo di Bruciare tutto: l’inestricabile
groviglio tra Bene e Male in cui l’uomo si dibatte.
«Come
può essere bella Milano, quando il sole la premia e fa brillare i grattacieli
come stoviglie nuove (…). Ma in due punti dolenti, allo zenith, affiora un
sospetto d’impurità che presto si materializza in biancore filamentoso (…). Due
cirri nuovi nuovi emergono tra le torri dalle profondità del nulla (…).
Sembrava tutto sereno e invece il celeste covava in sé questo magone: così il
Male nasce dal Bene».
Il senso generale del romanzo sembra
tendere verso un nichilismo terrificante: «il
“nihil”, il nulla, il tunnel di assurdo su assurdo» pare prevalere su ogni
richiesta di senso, su ogni ricerca di Dio, su ogni traccia di fede. Frasi come
«Tu che hai vinto la morte, dammi un
segno» marcano la disperazione di Leo e lo rivelano in tutta la sua
fragilità, mentre si rivolge a un Dio che appare distratto, incurante.
Eppure colpisce la frase conclusiva
che Siti sceglie per congedarsi dai lettori: l’orizzonte è salvezza, ancora per un po’.
Forse bisogna smettere di pensare e
sforzarsi di mettere il mondo tra parentesi: «non sono forse le parentesi a fare andare avanti il mondo?»